Ecco le tracce dei tavoli di discussione per l’ ASSEMBLEA NAZIONALE di NON UNA DI MENO a Reggio Emilia!
Lo scoppio della guerra in Ucraina lo scorso 24 febbraio ci ha travoltə mentre ancora raccoglievamo i cocci della pandemia e della sua disastrosa gestione. Il successivo otto marzo, giornata di sciopero transfemminista transnazionale, siamo scesə in piazza sostenendo che “la guerra è la più alta espressione della violenza patriarcale”, per rivendicare la nostra scelta di essere fuori dai binari imposti, rifiutandoci di prendere parte all’uno o all’altro schieramento, consapevoli che la guerra del capitale colonialista, in qualsiasi parte del mondo venga combattuta, ricade rovinosamente sulle vite delle popolazioni, a partire da chi è in situazione di maggiore oppressione sociale ed economica.
Durante il nostro sciopero, e in questi mesi che si sono succeduti, abbiamo dichiarato in ogni piazza la nostra ferma e convinta “opposizione alla guerra, al patriarcato, all’autoritarismo e al militarismo” e al loro legame con il capitalismo classista, razzista e abilista che tutto e tuttə usa e consuma. Sappiamo anche che è la violenza patriarcale il filo rosso che attraversa e collega tutti gli spazi che viviamo, pubblici e privati. Una violenza che si esprime in molteplici forme: intrafamiliare, lavorativa, economica, psicologica; violenza sui corpi, violenza climatica e ambientale, violenza sulle libere soggettività.
Il conservatorismo europeo e mondiale ha stretto la sua morsa rendendo ancor più evidenti ed esplicite le politiche che alcuni Stati perseguono: un familismo basato sulla rigidità dei ruoli binari padre – madre e che si riferisce a un modello ipotetico di “famiglia tradizionale”, ma che nella realtà costruisce il modello di famiglia mono nucleare eteronormata funzionale al capitalismo; l’imposizione della maternità che prende in considerazione le persone con utero come strumento di concepimento ma non considera la genitorialità; una forte misoginia espressa nella narrazione di donna-vittima da proteggere; la crescente omolesbobitransfobia e, ribadiamo, misoginia che vede nell’impedimento di scegliere sui nostri corpi e sulle nostre vite l’intento di governarci e controllarci; l’incedere bellicista della corsa al riarmo con la guerra che così permea dai luoghi di conflitto ai nostri territori.
La sensazione di impunità che moltə cittadinə provano dal risultato elettorale, sta facendo sì che diventi sempre più sfacciata e violenta la difesa e la rivendicazione dell’intramontabile orizzonte ideologico fascista: “dio, patria, famiglia”. Abbiamo chiaro di non aver avuto mai governi definibili femministi né alleati, ma è altrettanto chiaro che il livello diffuso di conflitto nei nostri confronti è destinato a crescere, sia politicamente che socialmente, così come la nostra oppressione.
Il governo fascista ultra-conservatore esprime il suo programma politico reale attraverso l’istituzione di ministeri e ministri i cui nomi non lasciano dubbi sugli intenti: e ancora e di nuovo, sotto attacco siamo noi. Siamo noi, donne che rifiutano di essere vittime e madri, persone razzializzate, persone appartenenti alla comunità LGBTQIAP+ che rivendicano la propria esistenza e pretendono diritti, migranti costantemente criminalizzatə e respintə da confini armati, persone con abilità differenti e quindi non performanti secondo la prospettiva del capitale ultra conservatore, e tuttə coloro che il sistema eteropatriarcale dell’uomo bianco etero e cis addita come da raddrizzare, riallineare, cancellare o semplicemente usare.
Al loro agire continueremo a rispondere che il nostro posto nel mondo siamo noi a deciderlo e che qui, come in ambito transnazionale, la lotta femminista e transfemminista si è già messa in moto: in Iran dove coraggiosissime giovani donne sfidano lo stato teocratico e fascista; in Siria del Nord e Iraq dove le compagne continuano a difenderci tuttə da un modello di mondo che non ci appartiene e non vogliamo più, perdendo spesso la loro vita in nome dell’uguaglianza tra le genti; negli USA dove le persone con corpi gestanti non hanno paura di dire “abbiamo sempre abortito, continueremo a farlo, che vi piaccia o no”; in Polonia e in Ungheria dove la resistenza di chi si oppone a leggi misogine e omolesbobitransfobiche è sempre più aspra. E le sorelle in Afghanistan, Palestina, Sud America, Africa da sempre e sempre di più lottano per la loro autodeterminazione e per difendere loro i territori.
In questo momento #nonunpassoindietro deve essere la base da cui partire per rilanciare le nostre idee, le nostre parole, le nostre pratiche, le nostre rivendicazioni. L’intersezionalità, che è fondamento di Non Una di Meno, deve essere ribadita con decisione e spiegata con parole chiare, che possano arrivare fuori dal movimento. È il momento di costruire alleanze e reti che permettano, tra le altre cose, di rendere visibile quanto la violenza patriarcale sia strutturale e infestante.
Andiamo verso un 26N che non dovrà essere una ritualità, ma dovrà rappresentare il culmine di un percorso fatto insieme, costruito collettivamente e rappresentato su tutto il territorio in maniera univoca. Sulla base di queste premesse, in prospettiva del 26N e oltre, ci poniamo diverse domande per riflettere in modo condiviso e collettivo su quali strumenti costruire, quali strategie e intersezioni di lotta attuare, quali nuovi inediti immaginari creare per essere anche noi parte di questa resistenza e lotta femminista e transfemminista globale, per cacciare indietro ogni tentativo di decidere per noi, su di noi, contro di noi.
Per combattere tuttə insieme quello stesso nemico che si manifesta sotto varie spoglie e forme: il patriarcato e la violenza insita nella sua propagazione. Ma anche per immaginare insieme il mondo per come lo vorremmo davvero, per dover smettere di difenderci. Partendo da quel concetto di autodeterminazione che significa per noi partire da sé, per costruire un mondo che comprenda l’esistenza e l’espressione di tuttə.
La violenza maschile contro le donne e di genere nel nostro paese continua a crescere. I femminicidi e i trans*cidi, raccontati ad oggi dal nostro osservatorio, non sono percepiti come un problema sociale e culturale ma come un aspetto del pacchetto “violenza, sicurezza, immigrazione”, dunque:
• Quali nuovi strumenti darci per superare questa visione, sempre più diffusa, nell’opinione pubblica? Come portare alla luce le contraddizioni sulle quali la logica securitaria vince su tutto, anche quando quel tutto sono le nostre vite? Come portare in evidenza i dati reali delle violenze in Italia e sottrarre così la violenza di genere dai temi della propaganda razzista e fascista?
• Quali nuove alleanze intessere, su quali obiettivi, con vecchi e nuovi complici (C.A.V., realtà femministe e comitati territoriali)?
• Come riaffermiamo in questo contesto, nazionale e transnazionale, che noi donne e libere soggettività non vogliamo “essere salvate” o che ci venga detto come e cosa ci farebbe stare in salvo, ma che si impari a riconoscere gli strumenti di fuoriuscita dalla violenza e autodeterminazione che abbiamo e stiamo costruendo in autonomia?
• Come condividiamo fra noi e oltre noi gli strumenti di sottrazione alla violenza e di sostegno reciproco?
• Come reagire collettivamente di fronte alla violenza istituzionale che si attua sui confini, nei tribunali, nelle questure, presso i servizi sociali e nella scuola?
• Le prime proposte di legge/modifica di legge di questo governo sono tutte rivolte ad arginare, impedire, finanche criminalizzare la scelta libera e la consapevolezza sui nostri corpi e sulle nostre vite, con un attacco frontale al diritto di aborto. Come rendiamo l’autodeterminazione terreno di conflitto e opposizione?
• Come decliniamo in questa nuova fase il nostro “molto più di 194”? Quali strumenti e alleanze mettiamo in campo per renderlo concreto e realizzabile?
• La campagna “Sensibile Invisibile” su endometriosi, vulvodinia, fibromialgia e neuropatia del pudendo, ha messo in luce delle patologie non riconosciute dal SSN. È possibile ripartire da qui per costruire nuove tutele per chi soffre di malattie croniche, anche tramite il nostro lavoro sui territori?
• Come immaginare collettivamente l’approccio che vorremmo alla nostra salute anche al di là della questione riproduttiva?
• Come resistere collettivamente e singolarmente alla violenza sui luoghi di lavoro e della forma lavoro stessa della contemporaneità? Come resistere al lavoro che sfrutta, che uccide?
Le soggettività LGBTQIAP+ sono nel mirino del nuovo governo di destra sulla scia di quello che accade in Polonia e Ungheria. Non solo si rimettono in discussione le poche istanze sui diritti approvate in questo paese, ma si sta iniziando una vera e propria lotta alle “teorie gender” che passa attraverso la scuola, con lo slogan molto funzionale quanto ipocrita del “giù le mani dai bambini”. Anche prima del nuovo governo, l’Italia non brillava per i diritti delle persone LGBTQIAP+, il DDL-Zan, che appoggiavamo solo ed esclusivamente al grido di “molto più di Zan”, ne è una dimostrazione.
Non solo, in questa campagna elettorale i partiti che si identificavano a sinistra avevano punti sui diritti LGBTQIAP+, ma puntavano soprattutto al “matrimonio egualitario”, che era lo slogan più gettonato, tralasciando tematiche che sono nel nostro paese estremamente urgenti, come una legge che sancisca l’autodeterminazione delle persone trans e vieti psichiatrizzazioni, patologizzazioni e l’intervento chirurgico su bambinə intersex, dando seguito alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 14 febbraio 2019 che tra le altre recitava: “condanna fermamente i trattamenti e la chirurgia di normalizzazione sessuale; accoglie con favore le leggi che vietano tali interventi chirurgici, come a Malta e in Portogallo, e incoraggia gli altri Stati membri ad adottare quanto prima una legislazione analoga”.
• Dato che abbiamo la consapevolezza che durante questo governo sarà impossibile immaginare l’approvazione di leggi a favore delle persone LGBTQIAP+, possiamo immaginare di costruire rivendicazioni in linea con le nostre reali necessità, portando una particolare attenzione a specificità come quelle delle persone Intersex, bisessuali e asessuali, che spesso sono dimenticate e cancellate anche dalla comunità stessa?
• In linea con la scelta dello scorso anno di dedicare una settimana di lotta e manifestazioni dal 20 novembre, TDOR-Transgender Day of Remembrance, al 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, di genere e patriarcale, come ci immaginiamo di rilanciare questa importante connessione?
• “Giù le mani dai bambini” è uno degli slogan più efficaci delle destre sovraniste per negare di affrontare il tema delle identità affettivo sessuali nelle scuole. Possiamo immaginare una risposta efficace a questa idea che fare formazione nelle scuole possa essere un modo per confondere lə bambinə, invece che un modo efficace per fare informazione sulla sessualità e affettività? Come parlare delle effettive forme di violenza che le persone piccole subiscono e della loro invisibilizzazione?
QUALI SLOGAN E PAROLE D’ORDINE PER IL NOSTRO 26 NOVEMBRE DI LOTTA MA ANCHE E SOPRATTUTTO DI LIBERAZIONE PERSONALE E COLLETTIVA?
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Il 25 novembre é la giornata fissata a livello internazionale, ma per noi, come ogni ann,o il corteo nazionale si terrà a Roma di sabato, dunque il 26N!