Reggio Emilia, 29-30 Ottobre 2022

Di seguito tutti i link a tutti report della due giorni nazionale a Reggio Emilia. Selezionando la pagina che ti interessa troverai i documenti conclusivi di plenarie e tavoli tematici!
Aspettando di vederci il 26 Novembre a Roma, buona lettura!
testo introduttivo ASSEMBLEA PLENARIA 29 OTTOBRE
Abbiamo aperto il testo della chiamata a questa assemblea nazionale, frutto di una discussione condivisa tra le assemblee territoriali di Nudm, assumendo gli scenari che ci troviamo di fronte oggi, profondamente mutati rispetto a quelli che hanno caratterizzato la nascita del nostro movimento di lotta, come base da cui partire per immaginare i nostri passi nell’immediato futuro ma anche per definire una prospettiva di più lungo periodo.
Se volgiamo lo sguardo alla prima travolgente marea transfemminista del 26 novembre 2016, non possiamo non rilevare come la situazione sociale e politica che stiamo vivendo presenti tratti impensabili fino a qualche anno fa, un vero e proprio passaggio epocale che ci interroga sul che fare in relazione all’inedito contesto e alla sfida (alle sfide) trasformativa che ci attende. Le parole chiave che abbiamo evocato nelle nostre più recenti discussioni sono state non a caso discontinuità, mutamento radicale, urgenza.
La guerra, le crisi sanitaria, sociale e climatica hanno impattato con la forza di un tornado sui nostri corpi e sulle nostre vite e non possiamo ignorare la centralità che esse assumono nell’analisi della violenza patriarcale, strutturale e sistemica contro cui ci battiamo fin dalla nostra nascita, e che ci impone di mettere e rimettere in discussione elaborazioni teoriche, chiavi di lettura, sguardi e prospettive, strumenti e pratiche. Tutti questi processi hanno reso la violenza patriarcale più intensa e pervasiva, e rendono più difficile raccogliere le forze necessarie per lottare contro di essa, ma anche più urgente che mai ripensare la nostra iniziativa per essere all’altezza di quello che abbiamo davanti.
– Il lockdown e la crisi pandemica hanno riportato al centro il tema della riproduzione sociale come fondamentale terreno di conflitto per chiunque voglia affrontare il tema della violenza strutturale e sistemica senza semplificazioni e riduzionismi.
Abbiamo assistito alla definitiva visibilizzazione del lavoro essenziale e di cura, gratuito o malpagato, denunciando la retorica della sua glorificazione mediatica in assenza di qualsiasi misura di riconoscimento degna di questo nome. Le impennate dei trend che ci hanno consegnato – e ci consegnano tuttora in modo incrementale – cifre da capogiro riguardanti la povertà assoluta e la povertà relativa ci parlano di un impoverimento crescente della popolazione che colpisce con particolare gravità donne, bambinə e lavoratrici precarie lgbtqia+.
La pandemia ha anche mostrato le sempre più evidenti difficoltà nell’accesso alla salute, conseguenza ampiamente prevista dei processi di privatizzazione selvaggia delle istituzioni della cura e del welfare “universalistico”, che decenni di smantellamento dei servizi pubblici hanno condannato ad essere escludenti e classiste (dobbiamo cominciare a riappropriarci di questi termini!).
La crisi pandemica è stata inoltre l’occasione per progettare e sperimentare la riorganizzazione in senso mercatistico e aziendalistico del sistema scolastico e formativo, sempre più schiacciato in logiche di potere e controllo da parte di un mondo economico e finanziario che intende garantire a se stesso la riproduzione di forza lavoro povera e funzionale ai propri obiettivi di profitto. Percorsi formativi standardizzati, la didattica a distanza, già ampiamente sperimentata durante la pandemia, strumenti di controllo dell’insegnamento/apprendimento quali la didattica per competenze, i sistemi di valutazione Invalsi (nella scuola) e Anvur (nell’università), l’ingresso nelle scuole, in veste di esperti, di
rappresentanti dei movimenti pro-vita e di sponsor aziendali, sono solo alcuni dei dispositivi di disciplinamento attivati.
– La crisi climatica sta accelerando e, come abbiamo scritto nel nostro appello, non è più solo lo scenario di un futuro imminente, ma un presente generato da un modello di sviluppo neoliberista, patriarcale e predatorio segnato dalla violenza, dallo sfruttamento dell’ecosistema e del lavoro, che minaccia la vita stessa. La guerra ha posticipato indefinitamente piani di transizione ecologica già insufficienti e orientati al profitto, e di fronte abbiamo la sfida di articolare un discorso femminista e transfemminista all’altezza del conflitto ecologico in corso.
Il tema della riproduzione ambientale ed ecologica si propone con forza e con modalità diverse rispetto al passato, interrogandoci su come costruire collettivamente, secondo una prospettiva antipatriarcale e transfemminista, le condizioni per respingere i diktat della guerra, che impongono sacrifici insostenibili e decretano l’archiviazione dei già insufficienti processi di “riparazione” ambientale avviati, rischiando di chiudere il campo di scontro della lotta globale per la giustizia climatica e quello aperto con la pandemia sul terreno della salute.
– La guerra, come esito ultimo della crisi della globalizzazione, assume i connotati di un evento/processo che sconvolge e ridefinisce la mappa geopolitica ed economica mondiale attraverso la corsa al riarmo e la minaccia atomica, la stretta autoritaria e antidemocratica che colpisce innanzitutto i corpi di donne, migranti, persone LGBTQIA+ e lavoratrici, utilizzando l’approvvigionamento energetico come una delle leve principali.
L’incremento dell’inflazione, che colpisce non solo l’Europa ma sta letteralmente esplodendo nei paesi dell’Est, raddoppiando o triplicando i prezzi nel giro di pochi giorni, significa che la povertà sarà una condizione sempre più diffusa, lo sfruttamento del lavoro gratuito e salariato delle donne nelle case sarà ulteriormente intensificato, le “rimesse” saranno radicalmente impoverite minacciando la sopravvivenza delle famiglie dei migranti.
La guerra russo-ucraina, come tutte le guerre attive o latenti sul pianeta, legittima la violenza sessuale sulle donne socialmente tollerata e la repressione e la cancellazione dei diritti delle persone lgbtqia+ .
I profughi ucraini, prevalentemente donne, sono oggetto di forme di sfruttamento estremo e la guerra è diventata un alibi per instaurare nuove gerarchie tra i migranti.
Il contraccolpo patriarcale transnazionale, alimentato dai discorsi autoritari che prescrivono alle donne i ruoli di mogli e madri di famiglia, le misure e le campagne anti-gender, gli attacchi alla convenzione di Istanbul, le misure antiaborto, tutto converge per consolidare e inasprire la divisione sessista del lavoro e attaccare quei movimenti che mettono in discussione la famiglia patriarcale come nucleo di riproduzione sociale dei sistemi neoliberali e capitalistici. Anche il patriarcalismo reazionario del nuovo governo italiano, che fa della famiglia il perno della riproduzione sociale e della stabilizzazione del mercato, va letto in questa cornice.
La guerra in Ucraina evidenzia in particolare come la posta in gioco oggi, in uno scenario in cui la guerra sta esacerbando la violenza patriarcale, moltiplicando gerarchie e differenze, dividendo le nostre lotte, è come riattivare un’iniziativa politica transnazionale femminista e transfemminista per modificare profondamente le attuali condizioni di riproduzione sociale e le nostre condizioni materiali di vita.
In tutto questo l’affermazione elettorale della destra razzista, antiabortista, familista e ultraconservatrice ci consegna un governo che, al di là delle dichiarazioni “ufficiali”, sta agendo alacremente, sopra o
sottobanco, per depotenziare il diritto all’aborto e sopprimere gli spazi di autodeterminazione delle donne e delle persone lgbtqia+, per svuotare, quando non sopprimere, i percorsi di affermazione di genere, di liberazione dalle oppressioni delle norme imposte dal sistema per tuttə.
Un governo che, prima ancora di costituirsi, ha alimentato a dismisura la propaganda razzista preparandosi a perseguire l’obiettivo della chiusura dei confini. Che vuole programmaticamente ridurre le tasse ai ricchi ed eliminare strumenti già minimi e insufficienti di autonomia economica, come il reddito di cittadinanza. Che già nella sua composizione e nell’immaginario che evoca attraverso le provocatorie denominazioni che ha dato ai suoi ministeri (della famiglia, natalità, e parità di genere, etc.) riproduce uno schema sociale profondamente patriarcale, iniquo e classista. Un governo che nel suo profilo internazionale allinea l’Italia al clima culturale e al programma politico reazionario e autoritario di Polonia e Ungheria, affermando un’idea di fortezza Europa sovranista e razzista.
Il modello caro ai clerico-fascisti, che promuove la triade Dio-Patria-Famiglia in funzione repressiva e liberticida, non è più il fantasma che si aggirava a Verona e in alcune aule regionali (vd. Regione Emilia-Romagna) nel 2019, ma si incarna oggi in un disegno di governo del paese già in atto e ha le orribili fattezze di uomini e donne ultracattolici e fascisti – oggi uomini e donne “governativi” e “istituzionali”-, Fontana, La Russa, Roccella…
Ed eccoci qui, di fronte a uno scenario e a un clima politico e culturale non solo profondamente mutato ma decisamente avverso alle nostre istanze, a tessere di nuovo il nostro discorso politico ripensandolo, dopo sei anni intensi di lotte del movimento femminista e transfemminista, attraversati da accadimenti anche estremi, qualcuno sicuramente non prevedibile e non previsto.
Riprendiamo qui le parole condivise del nostro appello.
Ripensare il discorso politico non può prescindere dal ripensare e rilanciare pratiche e forme organizzative adeguate alle sfide del presente, in grado di agire i conflitti sui territori e nello spazio politico pubblico, non solo sul terreno della resistenza ma per costruire nuovi immaginari che partano dai nostri bisogni e desideri.
Non può sfuggire dall’interrogarci sul moltiplicare convergenze e costruire percorsi e orizzonti comuni a partire da un approccio intersezionale fondato sulla materialità delle nostre esistenze, dal riconoscimento di privilegi e oppressioni che le percorrono, dall’attraversamento e dalla moltiplicazione di spazi di espressione politica larghi, non identitari nè appropriabili.
Chiamiamo donne, persone lgbtqia+, persone migranti e razzializzate, precariə, disoccupatə, attivistə per il clima e chi si riconosce in queste urgenze a costruire insieme le lotte per i mesi futuri e la mobilitazione nazionale del prossimo 26 novembre.
Facciamo risalire la marea verso e oltre il 26N. Tuttə insieme, Non Una Di Meno!!!
Tocca il titolo che ti interessa per leggere il report