Femminicidi e abilismo

un’analisi a cura dell’Osservatorio nazionale femminicidi, Trans*cidi, Lesbicidi

L’Osservatorio Femminicidi Lesbicidi Transcidi (FLT) in Italia di Non Una Di Meno monitora gli eventi, riportati dai media, che possono essere qualificati come femminicidi, lesbicidi e trans*cidi. Eventi in cui l’uccisione di una persona avviene per motivi riconducibili a relazioni di potere e alla violenza eterocispatriarcale e di genere.

Nel 2023 l’Osservatorio ha registrato 120 tra femminicidi, lesbicidi, transcidi, puttanocidi e suicidi di stato. Di questi, 16 casi riguardavano donne con disabilità di età compresa tra i 67 e i 90 anni.

Sono 170 gli articoli usciti sui 16 casi di femminicidio di donne con disabilità, da questi risulta difficile estrapolare informazioni sulle vittime. Spesso restituiscono una narrazione sconfortante in cui le indagini si focalizzano nella ricerca di malattie e problemi economici ignorando le violenze fisiche o psicologiche subite. Non viene fatta alcuna analisi del rapporto tra la vittima e l’assassino, anzi, la narrazione proposta è volta a salvare e ricomporre l’immaginario della famiglia spezzata, ricalcando il “gesto altruistico” agito fino a quel momento dall’assassino nel suo presunto lavoro di cura, finendo per, di fatto, deresponsabilizzarlo. 

I femminicidi delle donne disabili e disabilizzate, soprattutto in età avanzata e uccise da familiari, partner o figli, vengono spesso non considerati tali o comunque invisibilizzati. Nella maggior parte dei casi avvengono in contesti familiari dove la cura verso la donna viene vissuta come un peso. 

Questi femminicidi, considerati di serie b, restano dunque nell’ombra. La parola femminicidio infatti non appare nelle sentenze giudiziarie e neanche nella stampa, che si ostina a raccontarli come tragedie familiari.

Molti di questi casi che vedono coinvolte donne anziane e disabili, vengono chiusi come omicidi – suicidi. Non si approfondiscono le ragioni per cui le donne vengono uccise, a favore di una narrazione che parla di un gesto disperato ed eroico che mimetizza il crimine. Non a caso, spesso, l’uomo viene definito un buon marito o un buon figlio.

L’infantilizzazione e la patologizzazione nei femminicidi di donne disabili avviene adottando il  punto di vista del femminicida. 

Oltre al fattore abilista, vi è anche l’aspetto ageista nei casi di donne anziane: infatti i femminicidi di donne anziane spariscono rapidamente dalla cronaca, paragonato a quanto succede per i femminicidi  di donne giovani (in ogni caso anch’essi raccontati in modo estremamente problematico e strumentalizzato).

Nel 2024 sono finora 2 i femminicidi di donne con disabilità: Teresa Sartori, 81 anni, uccisa dal figlio l’8 gennaio e Alessandra Mazza, 35 anni, uccisa dal padre il 14 febbraio.

Il femminicidio di Teresa e quello di Alessandra sono stati raccontati con due pesi e due misure: nel primo, gli articoli dedicati sono stati 7, tutti scarni, dai quali emerge una narrazione ageista e un evidente focus sulla fatica e lo stress provati dal figlio di Teresa nell’accudirla. Teresa è stata uccisa a coltellate.

Il secondo caso di Alessandra Mazza, ottiene invece una certa copertura mediatica. In questo caso, la narrazione patriarcale e abilista falsa il caso di femminicidio assolvendo il padre.

Le informazioni vengono manipolate, soprattutto nei programmi televisivi che montano servizi ad hoc in cui la vittima viene infantilizzata e la sua disabilità psichica viene patologizzata: il suo corpo viene problematizzato per il solo fatto di non essere considerato adatto alla produzione e riproduzione sociale in un’ottica patriarcale.

Il sottotesto che in entrambi i femminicidi passa è l’altruismo del femminicida nel farsi carico della vittima.

Per l’ennesima volta le donne con disabilità vengono ritenute un peso per una società patriarcale che capitalizza su corpi abili. In una prospettiva patriarcale, l’esistenza delle donne è valida solo finché risulta funzionale ai processi di produzione e/o riproduzione. Nel momento in cui questo viene  meno, nel momento in cui le donne si sottraggono al ruolo patriarcale imposto, diventano un peso considerato inutile, la loro vita perde così tanto valore che può essere interrotta da chiunque, senza subirne particolari conseguenze. Se questo atroce meccanismo è vero per tutte le persone socializzate donne, lo è per forza di cose ancora di più nel caso di donne disabilizzate e disabili.

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