TAVOLO ECOLOGIA POLITICA


REPORT

CORNICE DI ANALISI

All’interno del tavolo Ecologia politica ci siamo confrontatə a partire dal riconoscimento della necessità di connettere maggiormente le lotte femministe e transfemministe con quelle ecologiste. Riconosciamo infatti nella violenza che devasta i territori, i nostri corpi e i corpi animali la stessa matrice, frutto del modello capitalista, antropocentrico e patriarcale in cui viviamo, che riduce tutto a risorsa o merce da sfruttare. Pensiamo quindi sia fondamentale trovare punti di contatto tra queste lotte, insieme a strumenti e linguaggi che rendano visibile come la violenza sistemica contro cui combattiamo sia la stessa.

Riconosciamo inoltre che non ci può essere giustizia ambientale senza giustizia sociale: sappiamo che la crisi climatica non colpisce tuttə allo stesso modo, ma produce effetti differenziati sulla base delle linee di classe, razza, genere e specie. Per questo riteniamo fondamentale guardare alle esperienze MAPA (Most Affected People and Areas), contrastando la retorica di colpevolizzazione delle persone del Sud globale e decolonizzando i nostri linguaggi e le nostre pratiche, mettendo a critica le nuove forme di colonialismo prodotte dall’emergenza climatica. Non può esserci uscita dalla crisi climatica all’interno dell’attuale modello economico e sociale: la transizione ecologica guidata dall’alto si traduce in nuove occasioni di profitto e nell’apertura di nuovi mercati per il capitale, che è per sua natura insostenibile e predatorio. La crisi climatica è già qui e sappiamo che quello che stiamo vivendo può essere solo un assaggio del futuro che potrebbe realizzarsi; per questo rifiutiamo l’attuale gestione emergenziale che scarica ancora una volta i costi di questa crisi verso il basso, riconoscendo invece la necessità di una prospettiva di lungo periodo che sappia mettere radicalmente in discussione il funzionamento di questo sistema.

Se già la pandemia da Covid-19 (le cui cause sono profondamente legate alla crisi climatica, ad una globalizzazione tossica e allo sfruttamento delle vite animali) ci ha mostrato la fragilità delle strutture che permettono la nostra vita materiale e delle catene di approvvigionamento globale, la fase politica, economica e sociale che stiamo attraversando – segnata da conflitti e tensioni crescenti – ci pone ulteriori sfide ma anche spazi e terreni di attivazione. Le guerre non sono solo la massima espressione della violenza patriarcale, ma anche un modo per il capitale per tenersi in vita, e determinano uno spostamento dei mercati e delle catene di approvvigionamento energetico e agroalimentare. Le scelte geo- biopolitiche che si stanno facendo e si faranno sul tema dell’energia in seguito al conflitto tra Russia e Ucraina saranno determinanti per il futuro e hanno già conseguenze importanti a livello globale. 

ANTISPECISMO E CRESCITA DELLA RETE

Lo spazio del tavolo è stato anche occasione per affrontare il tema dell’antispecismo, sia da un punto di vista politico e analitico, sia nei termini dei metodi con cui poter rendere questa riflessione patrimonio della rete tutta, colmando lo scarto che fino a questo momento ha caratterizzato questa discussione. La lente dell’intersezionalità ci porta a guardare ai nostri vari posizionamenti in quanto corpi oppressi ma anche portatori di privilegi in quanto oppressori; riconosciamo perciò nel modello antropocentrico dominante un paradigma da rifiutare e mettere in crisi, attraverso scelte e pratiche che non siano solo individuali ma collettive e orientate anche ad una dimensione di solidarietà internazionale.

Sono emerse con forza la necessità e il desiderio di proseguire insieme il dibattito su questi temi, senza il timore di poter anche confliggere ma dialogando in maniera interrogativa, con fiducia nel processo collettivo che stiamo costruendo. Vogliamo farlo costruendo ulteriori momenti dedicati in cui formarci collettivamente su questo tema fondamentale, che non si limitino allo spazio delle assemblee nazionali e che possano coinvolgere anche le persone della rete che storicamente non hanno partecipato a questo tavolo, superando polarizzazioni e cristallizzazioni con gli strumenti di attenzione e cura che il transfemminismo ci ha insegnato.

RELAZIONI E PERCORSI VERSO E OLTRE GLI SCIOPERI DEL 3 E DELL’8 MARZO

Nella seconda parte del tavolo ci siamo confrontatə su come tradurre in pratiche visibili e concrete l’analisi delle relazioni tra le istanze del movimento femminista e transfemminista e quelli ecologisti, verso e oltre le due giornate di sciopero del 3 e dell’8 marzo. Pensiamo infatti che questi due momenti possano rappresentare un’occasione fondamentale per mettere in luce gli effetti concreti e materiali che la crisi climatica ha già sulle nostre vite, anche alle nostre latitudini e sui corpi tutti.

Diversi interventi hanno riportato come nei mesi scorsi su molti territori si siano già attivate relazioni tra nodi di Non Una di Meno e movimenti ecologisti, e ci siano percorsi avviati per costruire i due scioperi del 3 e dell’8. Siamo consapevoli del fatto che quest’anno questa relazione è stata in parte anche dettata dalla contingenza delle due date di sciopero ravvicinate e dalla necessità di non sovrapporre e disperdere le coperture sindacali tra le due giornate, ma condividiamo per il futuro il desiderio di andare oltre il semplice sostegno o contaminazione reciproca, ragionando invece di un piano di mobilitazione comune sul lungo periodo. Pensiamo sia fondamentale riuscire a comunicare in maniera chiara e comprensibile il processo comune verso i due scioperi, organizzando anche un momento di confronto nazionale in cui condividere e mettere a sistema le relazioni e i percorsi che si stanno costruendo a livello territoriale verso le due date.

Abbiamo riconosciuto nella pratica femminista del partire da sé uno strumento importante, che ci porti a interrogarci sulle nostre responsabilità in quanto persone che vivono nel nord globale sapendo al tempo stesso puntare il dito e organizzare le azioni collettive contro i veri responsabili della crisi climatica, delle occupazioni e colonizzazioni di comunità, popoli e territori. Se è vero che le nostre scelte sono importanti, rifiutiamo gli approcci colpevolizzanti incentrati sui comportamenti e le responsabilità individuali, perché riconosciamo che il problema è globale e sta nel modello di produzione che regola le nostre economie. 

Negli ultimi anni lo sciopero si è affermato come pratica fondamentale e comune ai movimenti femministi ed ecologisti. Per questo verso la settimana di mobilitazione ecotransfemminista del 3-8 marzo vogliamo tornare a parlare di sciopero dei e dai consumi, inteso come strumento per spostare il focus dal consumo individuale alla messa in discussione del sistema di produzione, usando la sottrazione dal consumo e dagli acquisti come pratica collettiva per mettere in luce come funzionano i processi produttivi, indirizzando le azioni verso luoghi paradigmatici come la filiera del fast fashion o le catene di fast food. Vogliamo puntare il dito contro le multinazionali che continuano a fare extraprofitti dallo scenario di crisi e di guerra. Siamo consapevoli del fatto che portare queste pratiche verso una dimensione collettiva passi anche dalla necessità di iniziare a costruire delle alternative nei nostri spazi e nei nostri territori, producendo immaginari nuovi ma accessibili e fruibili da tuttə, evitando la proposizione di modelli di consumo che riproducono linee di privilegio.

Verso e oltre gli scioperi del 3 e dell’8 marzo vogliamo inoltre organizzare campagne e azioni che mostrino gli effetti materiali che la crisi climatica ha già sulle nostre vite – dalla siccità, all’inquinamento, alla crisi energetica e l’inflazione – e su quanto questo influisca non solo sulla nostra salute ma anche sul nostro benessere fisico e psicologico, oltre che sulla vita degli altri abitanti di questo pianeta.

Sappiamo che la possibilità di muoversi e fruire dello spazio urbano non è uguale per tutti i corpi e per questo vogliamo mettere al centro la questione della vivibilità delle nostre città, riprendendo la campagna organizzata tempo fa da Non Una di Meno – Alessandria su cosa significhino per noi delle città per la vita, ribaltando la retorica dei gruppi antiabortisti che con crescente aggressività attacca la possibilità di decidere sui nostri corpi. Lanciamo quindi l’invito a organizzare passeggiate transfemministe per riappropriarci dello spazio urbano e campagne che mettano al centro l’idea di città che vogliamo: città dove l’accesso ai servizi sia garantito per tuttə – sottolineando in particolare con campagne ad hoc la necessità di un trasporto pubblico diffuso e gratuito come strumento per combattere l’inquinamento; città in cui non ci si ammala per l’aria che respiriamo e in cui non si muore per le temperature eccessive dovute ad una sempre maggior antropizzazione dei territori; dove essere liberə di muoverci e di vivere!

INDICAZIONI PER PARTECIPARE

Aula 14

TRACCIA

In questo tavolo vogliamo proseguire la riflessione iniziata durante l’assemblea nazionale di Reggio Emilia su come costruire una prospettiva di analisi femminista e transfemminista sul tema delle ecologie politiche. Crediamo sia importante non disperdere l’elaborazione e gli interrogativi condivisi fin qui e le relazioni che si sono prodotte e si stanno producendo sui singoli territori tra Non Una di Meno e movimenti ecologisti; ma da qui vogliamo ripartire per avanzare con questa riflessione e renderla sempre più patrimonio collettivo della rete tutta, consapevoli che parte del lavoro debba anche essere indirizzato a rendere comunicabile e visibile il discorso che stiamo costruendo. 

I PARTE

Sappiamo che la crisi climatica produce conseguenze sulla vita di tuttə, ma in misure profondamente differenti: come portare al centro del discorso pubblico la consapevolezza degli effetti differenziati della crisi climatica? Che ruolo può avere la pratica transfemminista del “partire da sé” in questo processo e nella costruzione di un immaginario ecotransfemminista condiviso? L’intersezionalità ci porta a riflettere sui vari posizionamenti in quanto oppressə e sui privilegi in quanto oppressorə: come possiamo mettere in crisi l’antropocentrismo dominante? Come prendiamo parola sulle cause sistemiche della crisi climatica senza parlare per altrə e adottando un approccio realmente decoloniale e antirazzista?

II PARTE

Dalla scorsa assemblea nazionale come sono evolute le relazioni tra i movimenti ecologisti e Non una di meno nei diversi territori? Come creiamo / continuiamo un percorso di lotta che sappia unire la lotta transfemminista a quella per la giustizia climatica? Quali rivendicazioni e azioni possono contrastare questi fenomeni? 

Dobbiamo ragionare anche su una prospettiva di più lungo periodo: la lotta climatica ha spesso coinvolto e mobilitato le generazioni più giovani, mentre il movimento transfemminista è riuscito a coinvolgere età diverse, da persone giovanissime a lavoratrici a anziane. In quale modo il movimento, le pratiche e i saperi transfemministi possono contribuire ad unire le generazioni e a rendere la lotta per la giustizia climatica una lotta più intergenerazionale?

Gli scioperi del 3 e 8 marzo possono essere un primo punto di ricaduta di questo percorso; quindi, come costruiamo nella pratica una settimana di mobilitazione ecotransfemminista?  Se individuiamo nella questione della riproduzione sociale un terreno fondamentale su cui si intrecciano i nessi fra le lotte ambientaliste e transfemministe, quali pratiche di sciopero e quali campagne possiamo costruire verso e oltre queste due giornate per rendere visibile questa connessione? Quali mobilitazioni e istanze (esistenti o da costruire) ci permettono di rendere visibili sui nostri territori le cause sistemiche della crisi climatica e di costruire un terreno di attivazione collettiva, contrastando la retorica della responsabilità individuale o delle finte soluzioni improntate al green-washing?

III PARTE

La riflessione sui legami che intercorrono tra la lotta per la difesa dell’ambiente e le rivendicazioni del movimento transfemminista può beneficiare di uno slancio nuovo se considerata in un’ottica globale. Negli ultimi mesi i movimenti ecologisti hanno messo l’accento sulle ripercussioni, dettate dalle nostre scelte individuali di consumo e quelle politiche, in termini di devastazioni ambientali nelle nazioni del Sud del Mondo. Le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina si riflettono da mesi anche alle nostre latitudini attraverso l’inflazione, il carovita, la propaganda guerrafondaia e la minaccia di un ampliamento del conflitto su scala più ampia, e stanno spingendo i governi europei – in primis quello italiano – a cercare nuove fonti di approvvigionamento energetico stringendo accordi con paesi retti da sistemi di governo non democratici, dove gran parte dei diritti per le minoranze e le donne non sono garantiti. La lotta per il miglioramento del clima può diventare uno strumento per sostenere le proteste di chi chiede maggior democrazia nei Paesi “produttori” del Medio Oriente, a maggior ragione in stati come l’Iran, tra i più importanti produttori di gas e petrolio, dove il regime perseguita chi chiede il riconoscimento di quei diritti alla base del movimento transfemminista? Opporsi alla guerra oggi significa opporsi alla massima espressione della violenza capitalista e patriarcale; in quale modo le pratiche femministe e quelle ecologiste possono intrecciarsi per costruire un’opposizione alle guerre efficace, in un’ottica di giustizia climatica? 

PLENARIA DOMENICA 5 FEB

REPORT

La prima parte della plenaria di domenica è stata dedicata alla sintesi dei tavoli di lavoro del giorno prima. Le restituzioni hanno messo in luce la vastità di strumenti che questa rete ha costruito e intensificato nel corso di questi sette anni. 

Il patrimonio di ricchezza in termini di lotta è preziosissimo ed è estremamente importante riconoscerlo.

A partire da questo, è emersa in molti tavoli la necessità di riprendere e consolidare gli strumenti che ci sono, da rinnovare e rilanciare alla luce delle specificità del contesto attuale.  Le connessioni tra lotte che si stanno costruendo hanno un’enorme rilevanza, anche e soprattutto a livello transnazionale, permettendo di affrontare in modo unico il discorso sulle guerre, sulla giustizia climatica e sulle mobilitazioni contro razzismo e colonialismo feroce. Sulla linea del nostro appello allo sciopero, è emersa anche in plenaria la necessità di intensificare la nostra lotta alla violenza e alla precarietà, attraverso analisi e metodi che tengano insieme le dimensioni del genere e della classe, decostruendo la retorica familistica Dio-patria-famiglia che esaspera e rende ancora più visibile la violenza istituzionale, classista, razzista e guarrafondaia. 

Per questo, si è sentita chiaramente l’esigenza di potenziare lo sciopero, rendendolo il più possibile accessibile e attraversabile da singol* e realtà, così da restituire forza attraverso una solida cornice nazionale alle lotte dei singoli nodi e delle realtà territoriali. 

La discussione è stata ricchissima di proposte, non solo verso questo otto marzo, ma anche rispetto ad una progettualità che guardi all‘attivazione di percorsi politici nuovi, alla riattivazione di percorsi politici già avviati nel tempo all’interno della rete, e alle crescenti sinergie con altre lotte e realtà politiche esterne a NUDM. 

Per costruire una mobilitazione contro precarietà, crisi e welfare inesistente, dovremo anche dotarci di strumenti di lotta economici e materiali, che comprendano pratiche di mutuo aiuto diffuse. Per questa ragione, abbiamo deciso di rinnovare lo strumento della cassa mutua come strumento di solidarietà, mutualismo e autofinanziamento costante ed effettivo, proponendo un contributo mensile da parte dei nodi. Lo scopo della cassa mutua sarà di supportare le lotte e mobilitazioni della rete e di tutte le soggettività ignorate e impoverite dal sistema capitalista e patriarcale. 

Tra i percorsi politici da riattivare all’interno della rete, vi sono state proposte di tavoli di lavoro permanenti su diversi temi:

  • Tavolo razzismo, confini e decolonizzazione:

per condivisione di strumenti e pratiche che vada molto al di là dell’otto marzo, che sia un modo per la rete tutta di riprendere il percorso di decolonizzazione e di messa in discussione del nostro privilegio, che possa essere messo al servizio dell’intensificazione delle lotte dell* compagn* che vivono la violenza razzista in prima persona: lo sciopero e la nostra lotta transfemminista non possono prescindere dalla messa al centro delle questioni del privilegio, dei documenti, della violenza istituzionale e giudiziaria. 

  • Tavolo educazione, scuola e formazione

per la riscrittura dei vademecum dello sciopero sul lavoro anche a scuola e per monitorare il mondo della formazione.

  • Tavolo eco-transfemminista

per costruire un percorso di rivendicazioni e riflessioni comuni al di là dei singoli momenti nazionali e in connessione con le lotte per la giustizia climatica. 

  • Tavolo sulla salute e sull’aborto 

per costruire uno strumento di lotta politica e di mutuo aiuto su scala nazionale, facendo rete con le realtà transfemministe sul territorio nazionale e transnazionale, per allargare l’orizzonte delle lotte politiche e per gli accompagnamenti all’IVG

Bisognerà inoltre rinsaldare le sinergie con lotte transnazionali e reti con cui già abbiamo condiviso percorsi, come la rete EAST, e riattivare la rete transnazionale a partire dal gruppo Nudm e dalla rete Transfronteriza.

La seconda parte della plenaria è stata dedicata a costruire insieme le rivendicazioni centrali e le pratiche da portare in piazza l’8 marzo e nel percorso di avvicinamento alla data dello sciopero. La discussione a partita dalle domande: Perchè e da cosa scioperiamo? Quali sono i nostri desideri nell’immaginare qui e ora il mondo che vogliamo vivere? Come fare in modo che lo sciopero fuoriesca dalle maglie delle nostre reti per arrivare ovunque e a chiunque?

DA COSA E PER COSA SCIOPERIAMO:

  • Per il reddito, contro la precarietà e lo sfruttamento
  • Contro la violenza nelle strade, nelle case e nei luoghi di lavoro
  • Contro la repressione e la securizzazione/militarizzazione della società
  • Contro la violenza nei tribunali  e la violenza istituzionale (bigenitorialità forzata  l. 54/2006 e alienazione parentale, 41 bis, prospettiva abolizionista del carcere, CPR)
  • Contro la guerra, per una posizione antimilitarista opposta al nostro governo, contro allo stato-nazione retto dal patriarcato capitalista, violento e neoliberista
  • Per un’educazione transfemminista, antifascista, antirazzista e decoloniale
  • Per contrastare la degradazione ambientale e i profitti ricavati dallo sfruttamento incontrollato degli ecosistemi
  • Per una sanità accessibile che garantisca la salute per tutt*, un’IVG libera sicura e gratuita, per poter decidere sulla nostra salute riproduttiva e sessuale

TRANSNAZIONALE

La situazione corrente ci fa sentire esigenza di riaprire discorso contro violenza, impoverimento, guerra e violenza climatica su scala globale. La risposta la vogliamo su scala transnazionale. 

  • Abbiamo partecipato ad assemblea organizzata da eat a Francoforte l’11 febbraio
  • Tradurremo appello a 8M in altre lingue, sia in lingue franche sia in lingue che ci permettono di comunicare con lotte specifiche (es. farsi).
  • Mappatura dei contatti transnazionali e della rete Transfronterizas
  • Connessione con le lotte de* compagn* che sono intervenute in assemblea da tutto il mondo 

PERCORSO VERSO L’OTTO (E RAPPORTI CON SINDACATI): PRATICHE DI SCIOPERO E DI AVVICINAMENTO

Rilanciare lo sciopero transfemminista e  potenziarlo significa partire da noi e dalle nostre vite ed esperienze lavorative, dargli forza come mezzo di lotta.

Innescare verso l’8 un processo espansivo, intrecciando le lotte anche con altri soggetti: all’assemblea sono intervenute altre realtà come Climate Social Camp, Fridays for Future, Stati Generali, Rete DIRE, Gkn

  • 3 Marzo sciopero FFF per la giustizia climatica: 

Costruire una mobilitazione in sinergia con i movimenti ecologisti anche sulla dimensione transnazionale: pensare ad una settimana ecotransfemminista dal 3 all’8M in cui trovino espressione tutte le rivendicazioni che portiamo avanti e le lotte che abbiamo in comune.

Scrivere un comunicato congiunto FFF e NUDM e altre realtà transnazionali come rete EAST.

Proposta di mobilitazioni per una città vivibile per tuttə (libera da violenza di genere e da devastazione ambientale). 

Proposta di sanzionamento filiera produttiva del fast food e fast fashion

  • Proposta di pensare ad una assemblea transnazionale prima dell’otto marzo
  • Rivedere vademecum sullo sciopero dal lavoro produttivo e pratiche alternative per chi non può assentarsi dal proprio posto di lavoro 
  • Rivedere vademecum sullo sciopero dal lavoro nell’ámbito scuola e formazione 
  • Piazze tematiche in ogni città su carovita, inflazione e impoverimento 
  • Sostenere lotte esistenti delle lavoratrici (come le lavoratrici Iveco)
  • Incontri con sindacati verso 8
  • Autoinchiesta
  • Momenti di confronto con lavoratrici/lavoratoru e momenti di confronto nelle scuole 
  • Mobilitazione diffusa su razzismo e confini, sia durante la giornata con azioni specifiche (magari coordinate in tutti i territori) che nel processo di costruzione
  • Lanciare tramite il tavolo salute permanente il Manifesto sull’aborto che vogliamo
  • Lanciare una mobilitazione nazionale dopo 8M nelle Marche per attaccare a livello nazionale sul diritto alla salute e all’aborto che vogliamo, denunciando le condizioni di impoverimento generalizzato della sanità e di inaccessibilità all’aborto che interessano ormai tutte le Regioni
  • Riprendere e rafforzare i contatti con la rete DIRE, con i centri e le associazioni che hanno partecipato in passato all’8M

Altre proposte:

  • Invito 11 e 12 febbraio assemblea GKN due giorni su guerra ed ecologia 
  • 24 febbraio una data di mobilitazione contro la guerra
  • 11 marzo a Padova contestazione dei movimenti antiabortisti
  • da Stati Genderali proposta di adesione alle giornate del 17 e del 20 maggio

COMUNICAZIONE

Dall’urgenza di tutti questi fronti aperti di lotta nasce il grido della marea: l’8 marzo scioperiamo ovunque! (Come slogan comune da caratterizzare a seconda delle singole rivendicazioni tematiche).

La comunicazione deve essere quest’anno più che mai efficace e accessibile, per intercettare tutte quelle soggettività che non interagiscono abitualmente con NUDM ma che subiscono gli effetti di precarietà violenza e politiche repressive e per rendere il processo il più ampio e condiviso possibile.

TRACCIA

Abbiamo immaginato una giornata di plenaria come un momento di discussione aperta e collettiva sullo sciopero come processo e sullo sciopero come possibilità di connessione con altre istanze, per decidere insieme come costruirlo, farlo vivere e renderlo ancora una volta lo sciopero per tuttə. 

L’8 marzo 2023 per il settimo anno consecutivo sarà sciopero femminista e transfemminista in tutto il mondo.

Da anni cospiriamo e lavoriamo insieme ogni giorno per costruire uno sciopero che sia dentro e fuori casa, uno sciopero dai ruoli di genere e dai consumi. 

Non è stato semplice e non lo è tuttora parlare di come praticare uno sciopero in grado di tenere insieme tutte queste declinazioni, ugualmente importanti tra loro, ma è una sfida che continuiamo a raccogliere perchè siamo convintə che lo sciopero, il sottrarsi insieme, sia uno strumento di lotta imprescindibile, un mezzo potente in grado di creare alleanze e costruire relazioni e un motore di trasformazione radicale dell’esistente che si alimenta delle nostre vite e dei nostri vissuti. 

Lo sciopero femminista e transfemminista è uno sciopero che si costruisce a partire da noi, dalle nostre esperienze, dai nostri bisogni e desideri. 

Perchè scioperiamo, da cosa vogliamo scioperare, quali sono i nostri desideri nell’immaginare qui e ora il mondo che vogliamo vivere. Sono queste le domande da cui siamo partitə e su cui vogliamo tornare insieme. E ancora e soprattutto come fare in modo che lo sciopero fuoriesca dalle maglie delle nostre reti per arrivare ovunque e a chiunque. 

Dedicheremo una parte della plenaria alla restituzione dell’enorme lavoro portato avanti ieri dai diversi Tavoli (tavolo contro la violenza e percorsi di fuoriuscita, salute e aborto, guerra/e, ecologia politica, scuola/educazione/formazione, razzismo e confini, lavoro/welfare/reddito di autodeterminazione) di modo che tuttə possano avere una visione di insieme, seppur sintetica, di quanto è stato discusso. 

Abbiamo inoltre immaginato questa assemblea come uno spazio in cui creare, promuovere, ampliare connessioni e ricomposizioni con altre lotte e percorsi nella convinzione della necessità di articolare e intrecciare insieme le diverse declinazioni che lo sfruttamento assume e che il sistema capitalistico perpetra ogni giorno. 

Pensiamo che questo sia necessario e più che mai urgente per riuscire a cogliere nell’insieme le diverse forme di violenza e di sfruttamento sui nostri corpi e sulle nostre vite, sulle risorse collettive, sui territori e trasformare radicalmente lo stato di cose presente.

In alcuni casi si tratterà di rendere la giornata dell’8 marzo megafono e cassa di risonanza di lotte che da tempo si stanno portando avanti e che noi sentiamo essere un’unica lotta. Pensiamo alle mobilitazioni femministe in contesti di guerra, pensiamo alle donne iraniane, alla Siria del nord, grande esempio per le donne e le soggettività non conformi di tutto il mondo di come costruire un altro mondo sia possibile e allo stesso tempo, proprio per questo, così duramente sotto attacco. Da sempre lo diciamo: nessuna sarà liberə finchè tuttə non lo saremo! 

In altri casi si tratta di lavorare congiuntamente per articolare percorsi collettivi e fili rossi che uniscano lo sciopero femminista e transfemminista dell’8 con lo sciopero per il clima organizzato da Fridays For Future per il prossimo 3 marzo.. 

Per queste ragioni abbiamo scritto un appello che si rivolgesse a tutte le persone che in questi mesi hanno riempito le piazze con la loro opposizione e il loro rifiuto di questo governo, dell’ideologia “Dio, patria e famiglia” e più in generale di questo sistema capitalista e patriarcale violento, che ci uccide e ci mortifica quotidianamente. A partire dal panorama politico attuale e dalle infinite ricadute che questo comporta sulle nostre vite di tutti i giorni, ci rendiamo conto di quanto anche quest’anno il nostro sciopero sia necessario: per stare bene, per sentirci più forti, per cambiare tutto, per l3 sorell3 che lottano in scenari di guerra, per quell3 che non ci sono più. Per questo desideriamo uscire da questa assemblea con un immaginario chiaro verso il prossimo otto marzo. 

Chiudiamo con una serie di domande che speriamo possano stimolare e indirizzare la nostra discussione. 

Perchè scioperiamo, da cosa vogliamo scioperare, quali sono i nostri desideri nell’immaginare qui e ora il mondo che vogliamo vivere? Come fare in modo che lo sciopero fuoriesca dalle maglie delle nostre reti per arrivare ovunque e a chiunque.

Come creiamo, promuoviamo, ampliamo connessioni e ricomposizioni con altre lotte e percorsi per articolare e intrecciare insieme le diverse forme che sfruttamento e violenza assumono?

Che tipo di lavoro si sta facendo e si intende fare sui territori con le organizzazioni sindacali nella costruzione del processo di sciopero? 

Come rendiamo la giornata dell’8 marzo megafono e cassa di risonanza di lotte che da tempo si stanno portando avanti e che noi sentiamo essere un’unica lotta, dall’Iran, alla Siria del Nord, alla Palestina, al Sud America?

Come articoliamo percorsi collettivi e fili rossi che uniscano lo sciopero femminista e transfemminista dell’8 con lo sciopero per il clima organizzato da Fridays For Future per il prossimo 3 marzo?

Con quali pratiche, idee, azioni vogliamo costruire un percorso di mobilitazione nazionale e territoriale che vada da qui all’8 marzo?

TAVOLO RAZZISMO E CONFINI


REPORT

Iniziamo questo intervento dicendo: finalmente!

Finalmente in occasione dell’assemblea nazionale di Non Una Di Meno a Torino del 4 e 5 febbraio 2023 riapriamo il tavolo “Razzismo e confini” per raccogliere e accogliere necessità, voci, istanze e costruire insieme un percorso transfemminista antirazzista che diventi pratiche e decostruzione. 

Come tuttə immaginerete è difficilissimo rendere in un report la complessità di quanto condiviso e non crediamo sarà possibile farlo. Proveremo però a raccontare che abbiamo iniziato una strada insieme e che abbiamo coscienza di quanto sia complessa, molteplice e necessaria.

Iniziamo dicendo qualcosa che tuttə sappiamo:

La composizione di Nudm é profondamente bianca. 

Abbiamo provato a chiederci perché e come cambiare questa condizione, come de-costruire insieme il razzismo interiorizzato e quello agito a livello personale e collettivo ed abbiamo condiviso che forse la questione non sia solo rendere accessibili e attraversabili le nostre assemblee, ma anche e soprattutto attraversare e conoscere e praticare altri luoghi e spazi di lotta o di condivisione per creare contaminazione, sia fra persone che fra esperienze di lotta.

Crediamo che l’accessibilità parta dalla lingua e dalle abitudini e culture di provenienza. Dobbiamo imparare a riconoscere quanto l’italiano risulti escludente per alcune persone, così come il nostro linguaggio o alcune delle nostre pratiche di lotta. Non necessariamente perché non condividiamo lo stesso orizzonte politico ma perché la posizione situata è differente. Questo ci chiama a elaborare nuove modalità per entrare in comunicazione con persone che hanno difficoltà con l’italiano.

Non è però solo una questione di lingua, ma anche – e forse soprattutto – legata al “di cosa parliamo”. Le oppressioni che molte persone razzializzate in Italia vivono parte da questioni vitali: lottare per un documento che è essenziale per accedere ai diritti fondamentali e alla possibilità di immaginare la propria esistenza, il costante ricatto economico, istituzionale, sociale che è inaccettabile.

A fronte del fatto che il concetto stesso di “italianità” presunta a partire dal colore delle persone è un falso, esattamente come lo è il maschile universale, è stato bello ed importante arrivare a condividerlo a partire da racconti di compagne di altri paesi come l’Argentina, la Siria e l’Iran. In questi paesi, e non solo, la bianchezza è stata imposta come valore di riferimento e di esclusione atta a dividere le popolazioni autoctone esattamente come lo è il dominio patriarcale. Nonostante questo anche le persone razzializzate fra di noi si trovano a dover seppellire la propria specifica oppressione nel movimento transfemminista nel momento in cui si trovano a lottare per tutte le altre oppressioni.

Sarà quindi necessario che tutti gli altri tavoli abbiano sempre di più presente nella propria elaborazione la centralità delle posizioni situate delle persone razzializzate, ora più che mai, anche data la legittimazione sociale che questo governo sta dando alla narrazione razzista –  nonostante ci sia chiaro che la violenza giuridica e istituzionale è ben precedente a questo governo.

A fronte del fatto che il concetto stesso di “italianità” presunta a partire dal colore delle persone è un falso, esattamente come lo è il maschile universale, è stato bello ed importante arrivare a condividerlo a partire da racconti di compagne di altri paesi come l’Argentina, la Siria e l’Iran. In questi paesi, e non solo, la bianchezza è stata imposta come valore di riferimento e di esclusione atta a dividere le popolazioni autoctone esattamente come lo è il dominio patriarcale. Nonostante questo anche le persone razzializzate fra di noi si trovano a dover seppellire la propria specifica oppressione nel movimento transfemminista nel momento in cui si trovano a lottare per tutte le altre oppressioni.

Il racconto della propria storia è analisi politica, è un caposaldo della pratica femminista e deve esserlo nelle pratiche di decostruzione che stiamo avviando insieme.

Per questo abbiamo immaginato momenti specifici e dedicati solo ad alcunə, se avremo bisogno che sia così. Per questo abbiamo condiviso l’esperienza della nascita dell’assemblea de las mujeres latinoamericane a Torino come aggregazione verso l’8 marzo 2022 che è man mano cresciuta e diventata rete di sorellanza. E ci sono molte altre esperienze che in tutti i territori si stanno moltiplicando. A questi percorsi, e in generale alle persone razzializzate, dobbiamo imparare e dovete imparare ad avere un approccio non infantilizzante, in ascolto ed avendo la volontà di guardare e agire sulla profonda e non elaborata radice coloniale della nostra formazione e sul concetto di bianchezza e privilegio. Non stiamo aiutando nessunə, non siamo meglio di nessunə, ma è urgente che chi ha un privilegio per documenti, razza, classe e genere usi questo privilegio per abbattere l’oppressione. Semplicemente perchè è giusto ed è tardi.

Verso l’8 marzo, e molto oltre: in questo momento sentiamo come priorità mantenere questo tavolo in modo permanente e a livello nazionale. Abbiamo raccolto i contatti e invitiamo i nodi che vogliono partecipare e darci i contatti in modo da costruire una mailing list che serva a portare confronto e stimolo, condivisione di strumenti e pratiche in tutti i territori che lo desiderano.

Proponiamo di immaginare insieme un segno distintivo o un’azione, ancora non sappiamo, da riportare in tutte le manifestazioni territoriali durante l’8 marzo. Ribadiamo l’importanza di immaginare strumenti di sciopero o di partecipazione allo sciopero per tutte quelle persone che, per i motivi che abbiamo elencato prima, non possono partecipare. Invitiamo a considerare le questioni di lingua e di linguaggi che abbiamo citato nell’intervento nel momento nel quale costruiremo gli interventi e i materiali divulgativi. Non solo ribadendo l’importanza delle traduzioni ma ricordandoci che se vogliamo parlare con tuttə dobbiamo utilizzare un linguaggio nel quale più persone possibili possano riconoscersi. Vogliamo che al centro delle rivendicazioni e delle parole chiave dello sciopero ci siano il diritto universale ai documenti, la questione relativa al diritto alla casa, al reddito di autodeterminazione, alla libertà di movimento e anche alla libertà di non muoversi perché si vive in un territorio accogliente.

Siamo femministə e transfemministə e sappiamo che decostruire è l’unico modo per darci e dare speranza di poter esistere, ma ora è il momento che ognunə di noi guardi radicalmente anche alle oppressioni che agisce per genere, razza e classe, perché la rivoluzione deve essere radicalmente intersezionale, oppure non è!

Allo sciopero!

INDICAZIONI PER PARTECIPARE – EVENTO PASSATO

Aula 16, palazzo nuovo

TRACCIA

“In una società razzista non basta non essere razzistə, bisogna essere antirazzistə e antisessistə” 

Angela Davis. Dalle riflessioni alle pratiche.

Dopo alcuni anni di assenza torna (rinominato) il tavolo Razzismo e Confini per raccogliere e accogliere necessità, voci, istanze e costruire insieme un percorso transfemminista antirazzista. Il razzismo è un sistema oppressivo che agisce e discrimina in modo sistemico e strutturale, andando a toccare trasversalmente i temi trattati da tutti gli altri tavoli. Spesso le persone razzializzate, e in particolar modo le soggettività socializzate come donne, vivono sulla loro pelle multiple discriminazioni che per essere viste e combattute necessitano specifiche analisi, riflessioni e azioni. Oltre che l’ascolto attivo di chi vive questa oppressione quotidianamente.

Per questo motivo pensiamo che sia fondamentale immaginare il tavolo con una doppia finalità: da un lato lavorare insieme, compagnə non bianchə e bianchə, su percorsi interni a Non una di meno, per aumentare il coinvolgimento di persone razzializzate, decostruire collettivamente il razzismo interiorizzato e nutrire un approccio decoloniale delle pratiche. Dall’altro per portare ulteriori stimoli agli altri tavoli, in ottica antirazzista e lavorare in sinergia sulle rivendicazioni politiche.

Crediamo che ricorrendo alle pratiche e agli strumenti femministi di cui ci siamo dotatə in questi anni, possiamo e dobbiamo riavviare un processo partendo da noi, dando voce alla pluralità delle esperienze. E vogliamo farlo insieme: persone razzializzate, persone bianche, persone con e senza background migratorio, etc. 

Parte I

Non una di meno è una realtà transfemminista e antirazzista, però è attraversata maggiormente da persone bianche, senza esperienze diasporiche e conta una partecipazione attiva di persone razzializzate molto bassa. Alcunə compagnə spesso si sentono rappresentate in quanto persone socializzate donne ma non in quanto persone oppresse dal razzismo istituzionalizzato. Ci chiediamo quindi: come possiamo aumentare la presenza in Non una di meno di persone razzializzate? Come aumentare la discussione sull’intersezione tra sessismo e razzismo e le sue conseguenze? Come formarsi e lavorare per decostruire il razzismo interiorizzato crescendo e vivendo una una società dominata dal suprematismo bianco occidentale?

Essere antirazzistə significa attivarsi contro il sistema colonialista eterocispatriarcale. Come sostenere attivamente la lotta antirazzista e costribuire a smantellare questo sistema oppressivo in tutte le sue sfaccettature? Come rendere le lotte e le pratiche realmente antirazziste e decoloniali? Come essere bravə alleatə?


Parte II

Vogliamo riportare l’attenzione alla tematica dell’antirazzismo come caposaldo della lotta transfemminista intersezionale. In una società basata sullo sfruttamento e la discriminazione, vogliamo ribadire la nostra opposizione a pratiche e politiche razziste, spesso mascherate da politiche per la sicurezza e l’identità nazionale. Temi come la cittadinanza e i diritti a essa legati (come la salute e il lavoro), il riconoscimento dei titoli di studio, i ricatti dei permessi di soggiorno, le folli politiche migratorie europee, sono solo alcune delle questioni su cui critichiamo fortemente tutti i governi eletti finora e per cui riteniamo sia necessario mantenere alta l’attenzione in chiave transfemminista. 

Come riportare al centro uno sguardo intersezionale e antirazzista?

La lotta al razzismo non è slegata dalle questioni migratorie, eppure non coinvolge solo persone con background migratorio, come invece viene spesso presentato dai media mainstream e dai governi, che mirano a ipersemplificare i fenomeni. Non una di meno si inserisce nella complessità della lotta antirazzista, rifiutando semplificazioni dannose, ma intendendo mantenere la consapevolezza della pluralità delle situazioni e delle problematiche. 

Questa è una sfida anche per noi: in che modo manteniamo alta l’attenzione sulla questione senza scadere in semplificazioni e generalizzazioni? 

Quali sono le rivendicazioni più urgenti che vogliamo portare e sulle quali vogliamo lavorare in sinergia con gli altri tavoli? Come intendiamo agire e costruire una rivendicazione politica verso l’8 marzo e oltre?

REPORT E INFO TAVOLO GUERRA E GUERRE


REPORT

Siamo partitu  dalle domande presenti nelle traccia e dai nostri vissuti, differenti e non omogenei sulla guerra in Ucraina: da chi è scappata, a chi vi si è recata attraverso reti mutualistiche di lotta, a chi vive nella condizione di privilegio dell’Occidente e però subisce le conseguenze della guerra (a livello di crisi socio economica, militarizzazione e disciplinamento)abbiamo continuato un dibattito iniziato neanche un anno fa come NUDM.

Dibattito che è risultato complesso ed articolato, lasciando in alcuni casi dei punti aperti.

si è comunque espresso il fatto che le guerre non possono cessare armando tutte le parti, ma con la diserzione, ed il fatto che appoggiarsi agli stati-nazione, anche dal punto di vista materiale, non è l’ autodifesa che nudm riconosce.

Un ulteriore punto di discussione è stata la dimensione di discontinuità o meno della guerra in Ucraina ,in un intersecarsi di guerre che sono in corso da tempo e non sono slegate da questa. Siamo comunque arrivatu a dei punti di consenso. Ciò su cui tuttu hanno concordato sono gli Effetti riscontrabili in termini di inflazione, politiche migratorie, ristrutturazione delle politiche collegate alla riproduzione sociale, sicurezza, disciplinamento e controllo, di impatto ecologico, militarismo e nella possibilità che questa guerra diventi il preludio anche all’utilizzo di armi nucleari.

 È stato inoltre rimarcato l’effetto che le narrazioni dei media stanno avendo da un lato nel contribuire ad un clima strumentale di paura, dall’altro alla normalizzazione di questa ennesima emergenza. È emerso con grande consenso la radice comune di tutte le guerre come effetto della creazione degli stati nazione, del colonialismo, del patriarcato, del capitalismo e dell’imperialismo, .

Inoltre, posizione che ha raccolto un grosso consenso, la constatazione che l’italia è già nei conflitti, ben 42, e fa parte della nato e l’invio di armi è quindi una scelta interventista ed atlantista che ci riguarda direttamente. 

Infine, all’interno del tavolo è stata sollevata la preoccupazione fortemente sentita sulla scarsa partecipazione e presenza riguardo questo tema, chiedendosi anche come rendere centrale questa lotta.uno dei problemi da questo punto di vista è stato rintracciato nel discorso pubblico interventista e bellicista e in questo senso molti interventi hanno indicato un vasto terreno comune da cui partire per creare le nostre (contro)narrazioni e un’idea di pace che non sia il ritornare alla situazione precedente.

I temi principali condivisi sono la lettura delle guerre in chiave sistemica, analizzandole in termini di violenza ed in cui le guerre sono un elemento fondante del sistema capitalista-patriarcale ecocida, e del fatto che opporsi alla guerra significa non cadere nella trappola di scegliere tra russia, cina ed atlantismo.

I due fronti sono da un lato gli stati-nazione, imperialismo e capitalismo e dall’altro la popolazione, che ci chiama a una critica al nazionalismo e a unirsi a chi non vuole morire di guerra o per l’economia di guerra.

E’ stato inoltre sollevato molto chiaramente la necessità di creare delle narrazioni alternative che parlino anche degli effetti che l’economia di guerra sta avendo su di noi in termini di aumento delle spese militari, di economia di guerra, taglio del welfare e di sostegno contro il carovita, emergenza abitativa, sanità, ecc

Così come è stato discussa la necessità di rafforzare il legame tra questa lotta e le altre lotte esistenti, di farle convergere nei territori e nei momenti di mobilitazione nazionale come l’8 marzo. Abbiamo ad esempio discusso delle lotte locali quali quella contro la base di Coltano e contro il progetto DIANA, che vedrà nascere a Torino uno dei poli di ricerca militare più grossi al mondo, e di quelle nelle scuole, quelle ambientali (contro i combustibili fossili e rigassificatori) ecc.

Infine, sono uscite diverse date e proposte collegate all’8M. La più importante sarebbe, ad un anno dalla guerra in Ucraina, di mettere il tema guerre al centro dell’8M a cui andare poi a collegare gli altri temi. Proprio sull’onda della consapevolezza che questa mobilitazione è super urgente ma non raccoglie adesione come invece era avvenuto nelle lotte pacifiste del passato, vorremmo qui proporre che questo anno il tema della guerra fosse quello centrale dell’8 marzo, al quale collegare tutte gli altri (violenza, riproduzione, violenza economica, lavoro, educazione, ecologia ecc) in modo da costruire un ponte con lo sciopero ecologista del 3 marzo. Intendiamo cioè collegare il tema della guerra e dell’economia di guerra alle nostre lotte per l’autodeterminazione, il welfare, la soppressione della violenza patriarcale, l’ecologia ecc. Per accompagnare la mobilitazione si potrebbe mettere al centro una narrazione che porti in evidenza i numeri e le conseguenze delle guerre: 

– spese militari, economia di guerra, carovita, migrazioni e lavoro 

– lettura complessiva della guerra come condizione strutturale del capitalismo patriarcale ecocida

– legame stretto tra le guerre e energia fossile con queste parole chiave

decarbonizzazione, decolonizzazione, democratizzazione

Oltre all’8 marzo e il 3 marzo sono uscite diverse date:

11 e 12 febbraio meeting a francoforte del TSS

12 febbraio assemblea della rete antimilitarista a RE

24 febbraio – presa di parola eventualmente portandola nelle piazze già chiamate

25 febbraio – sciopero de* portual* – genova dovrà dirci se parteciperanno o meno

Le guerre non scoppiano, si preparano e sono strutturali al mondo capitalista e patriarcale che vogliamo abbattere. per questo il 3 3 l’8 marzo scioperiamo

INDICAZIONI PER PARTECIPARE – Evento passato

Aula 19

TRACCIA

Questo 8 marzo la guerra in Ucraina sarà in corso da più di un anno, e progressivamente si espande e si intensifica. 

La violenza di questa guerra si somma a quella delle altre guerre in corso nel resto del mondo, dalla Palestina al Kurdistan per citarne solo alcune, e i suoi effetti globali stanno cambiando il terreno delle nostre lotte, incidendo profondamente sulla produzione e sulla riproduzione sociale, intensificando la violenza patriarcale e razzista dentro e fuori i confini europei, trasformando i piani di transizione ecologica, silenziando le nostre lotte. 

Il dibattito interno a Non una di Meno e interno ai vari nodi sulla discontinuità e centralità della guerra in Ucraina, rispetto a tutte le altre, è vivace e articolato. Abbiamo però condiviso l’urgenza di trovare dei terreni comuni a partire dai quali costruire un discorso femminista e transfemminista e una mobilitazione contro la guerra. 

Vogliamo partire dal punto di vista di coloro che stanno pagando il prezzo della guerra, che lottano contro la violenza patriarcale, lo sfollamento, che sono colpitə dalle spese militari e dai tagli alla spesa sociale.

Vediamo come la violenza maschile stia aumentando in Ucraina, come questa guerra stia legittimando sul piano internazionale la violenza patriarcale di governi neoconservatori, dalla Polonia, all’Italia, alla Turchia. 

La guerra entra anche nelle relazioni civili e familiari perché alza il tasso di tolleranza alla violenza, rinforza i ruoli e le gerarchie di genere, cancella i diritti civili. 

Questa guerra sta portando milioni di donne migranti dall’Ucraina, che vengono accolte in Europa essendo messe a lavoro nella cura in cambio di bassi salari, mentre si rinforza il razzismo dei confini e si discrimina la popolazione migrante in base al colore della pelle e alla provenienza. L’economia di guerra e del riarmo incide sulla sfera produttiva e riproduttiva, di cui si accelera il confinamento nelle case con la contrazione del budget per il welfare, mentre i salari vengono erosi dall’inflazione. 

La guerra cambia le politiche energetiche, offrendo la legittimazione per aumentare l’utilizzo di carboni fossili, e mettendo a tacere le rivendicazioni per la giustizia climatica e per una transizione ecologica giusta. 

La guerra cambia il clima politico dentro cui viviamo: dentro la guerra le divisioni e i conflitti sociali, femministi, ecologisti vengono silenziati, e restano le nazioni, resta una ‘autodeterminazione’ su base etnica e religiosa, restano blocchi imperialisti in cui il dissenso viene cancellato. 

Dentro questo contesto verso lo sciopero femminista e transfemminista dell’8 marzo, sentiamo l’urgenza di costruire una presa di parola collettiva e connettere lo sciopero contro la violenza patriarcale con l’opposizione alla guerra. 

Perché l’opposizione a questa guerra non è diffusa e compatta come succedeva contro la guerra in Iraq? Con quali difficoltà inedite ci scontriamo nel prendere posizione? Come facciamo a superarle? Come decostruiamo gli schieramenti imposti, la propaganda militarista, atlantista, nazionalista?

In che modo la guerra in Ucraina cambia le condizioni materiali di lavoro, di vita e le possibilità di lottare delle donne, delle persone lgbtqia+, dellə migranti, dellə precarie, di coloro che pagano il prezzo della crisi climatica ed ecologica? In che modo possiamo prendere posizione su questa guerra, e al tempo stesso, opporci alle altre guerre che si stanno consumando in altre parti del mondo?

Attraverso quali parole d’ordine riusciamo a costruire un rifiuto della guerra in Ucraina che sia al tempo stesso un rifiuto della normalità delle guerre quotidiane sui nostri corpi (patriarcato, razzismo, sfruttamento e precarietà, neocolonialismo, devastazione ecologica)?

Come possiamo caratterizzare il percorso verso lo sciopero e la giornata dell’8 in una prospettiva transnazionale?

TAVOLO VIOLENZA E PERCORSI DI FUORIUSCITA


REPORT

Siamo felici di riportare la potenza del tavolo violenza, che è stato un momento realmente assembleare in cui al di là degli interventi preparati siamo riuscite a discutere, condividere, elaborare insieme percorsi e strategie. 

Il tavolo violenza è partito dalla constatazione di tre elementi comuni: la pervasività della violenza maschile contro le donne e la violenza di genere e la vitalità dei nodi territoriali nell’affrontarla; la proliferazione di pratiche e strumenti di risposta alla violenza a livello territoriale e nazionale; il bisogno di trasmissione e contaminazione di queste pratiche tra nodi territoriali. 

La prima parte del tavolo è stata dedicata alla condivisione di strumenti e pratiche verso l’8 marzo, la seconda ai percorsi di fuoriuscita per donne e persone LGBTQIA+ e il rapporto con i CAV. 

Nella prima parte del tavolo è emersa la molteplicità delle pratiche e degli strumenti costruiti dai nodi del corso del tempo. 

Una parte di queste pratiche riguarda la riappropriazione dello spazio pubblico. La frequenza degli episodi di stupri e molestie in varie città ha spinto a sviluppare la pratica delle passeggiate transfemministe, che aiutano da un lato a vivere lo spazio in maniera collettiva e femminista, dall’altra a lasciare delle tracce a lungo termine, quali scritte, frasi, segni visibli, poster. Queste tracce sono un messaggio che rimane nella quotidianità dello spazio pubblico e fornisce un elemento di riconoscimento e riferimento per le donne e persone LGBTQIA+ nei quartieri e nelle strade. 

Una seconda parte di pratiche riguarda la costruzione di consultorie, sportelli, laboratorie e spazi transfemministi che agiscono nel lungo termine, fornendo sia ascolto che supporto concreto. Queste pratiche richiedono la costruzione di una rete di supporto con professioniste, quali avvocate, psicologhe, operatrici, da cui non solo appendere ma anche coinvolgere nei progetti di nudm.

Tra le pratiche condivise c’è anche la creazione di chat di quartiere per segnalare casi di molestia, stupro, violenza, e poter intervenire, oltre che organizzare incontri tra le persone del quartiere che sono parte di queste chat. 

Molti nodi hanno riportato l’8 di ogni mese come giorno di mobilitazione, in cui poter rispondere alla violenza con vari strumenti: le scritte sulla pavimentazione, la creazione di luoghi della memoria dei femminicidi e di lotta, le striscionate, la condivisione di momenti collettivi con slogan, cori e circolarità della cura: diversi nodi hanno sottolineato l’importanza di questi momenti come cura verso noi stesse, per collettivizzare la rabbia e il dolore che stupri, femminicidi e violenze generano in noi.

D’altra parte è emersa la necessità di momenti collettivi in cui nominare la violenza che noi, in prima persona, viviamo, come ad esempio in relazione al sessismo nei movimenti, e di azioni con cui farcene carico e prendercene cura. A questo va incontro la moltiplicazione dei momenti di autocoscienza riportati dai nodi. 

Oltre che dentro di noi, abbiamo bisogno di guardare molto oltre noi. Non tutte/u hanno infatti il “privilegio” di godere di una rete di supporto e sorellanza, e noi vogliamo interrogarci anche e sopratutto su come raggiungere chi è lonatana/u da noi. Per questo abbiamo ragionato su forme capillari di diffusione dei nostri messaggi, quali anche l’intervento nelle scuole, da attraversare in maniera più strutturale. 

E’ stato ricordato il bisogno di sostegno al gruppo che segue l’Osservatorio Femminicidi Lesbicidi Trans*cidi.

Rispetto a slogan e strumenti verso l’8 marzo è stato codiviso:

    – lasciare sul terriotrio (strade, quartieri, muri) segni della nostra presenza come punto di riferimento e diffusione del messaggio, rendendo così permanenti le passeggiate transfemministe [se ho capito bene Bolo intendeva che lasciando segni nostri in giro le nostre passaggiate e le nostre azioni non sono più episodi ma rimangono in modo permanente negli spazi che attraversiamo]

– tornare a usare parole e semplici e immediatamente comprensibili: sorella io ti credo; consenso ecc

– mini volantini da lasciare ovunque – nei negozi di vestiti (nelle tasche, maniche ecc), nei bar; nei locali, sul posto di lavoro, in università. Non volantinaggi classici ma piccoli volantini con poche frasi molto chiare che rilancino lo sciopero

– diffondere la pratica di attraversamento dell’8 di ogni mese in ogni città 

La seconda parte del tavolo ha ragionato sul rapporto tra NUDM e CAV sui territori. Da tutti i nodi è emerso il bisogno di ricostruire il rapporto tra NUDM e cav,che è rapporto fondativo e fondamentale del movimento. Abbiamo bisogno di condividere metologie e strumenti. Tanti nodi hanno già organizzato formazioni, condotte dal CAV locale, attraverso il quale apprendere strumenti per il primo contatto e l’accompagnamento delle molte persone che si rivolgono a NUDM per casi di violenza. Non possiamo sostituire i CAV ma possiamo lavorare in ottica complementare con i CAV, prendendo in carico ad esempio: l’accompagnamento delle donne e soggettività, ad esempio nelle udienze; la denuncia politica; la costruzione di campagne a partire da singoli casi. 

Una grande attenzione è stata rivolta alla questione della metodologia femminista nella gestione dei percorsi di fuoriuscita. E’ necessario sviluppare un approccio intersezionale e transfemminista, e questo significa ripensare dal profondo la metodologia, da donna a donna, ma anche più in generale tra persone oppresse dal patriarcato. E’ necessario combattere la vittimizzazione delle persone trans e mettere a fuoco la carenza di spazi di accoglienza e percorsi di fuoriuscita per persone trans. Abbiamo bisogno di costruire luoghi sicuri al di là dei servizi, anche tenendo a mente la differenza tra città e provincia: dal tavolo è emersa forte la necessità di implementare le reti di sorellanza e sostegno con i nodi e le realtà che lavorano in provincia, mettendosi in ascolto e tenendo a mente che molte delle nostre pratiche più diffuse non sono adatte in tutti i contesti.

 Quando parliamo di sciopero,e in particolare di sciopero dalla violenza, serve ragionare su cosa significhi per le operatrici dei centri, non solo perchè spesso sono precarie precarie, come molte di noi, ma anche per la particolare attività che svolgono. 

Infine, parlare di fuoriuscita dalla violenza significa parlare di autonomia economica e reddito di libertà. Finora il reddito di libertà è stata una misura limitata e competitiva che riproduce forme di violenza istituzionale, con un approccio paternalista e neoliberista. Serve un reddito di autodeterminazione che superi la dimensione familista, che funzioni a 360° per restituirci tempo ed energia, e che sia uno strumento di conflitto contro la visione “dio patria e famiglia” e la violenza istituzionale. La cittadinanza non può essere un presupposto e anche il concetto di vulnerabilità va ripensato in ottica transfemminista. 

 Contro la violenza patriarcale 

 sciopero sciopero generale 

INDICAZIONI PER PARTECIPARE – Evento passato

Aula 15



TRACCIA

La violenza patriarcale contro le donne, le persone piccole e le persone LGBTQIA+ è sistemica e la morsa familista dell’attuale governo rende sempre più pervasivo l’attacco alla nostra autodeterminazione. Ad oggi sono già 7 le sorellə uccisə nel 2023, lo scorso anno il lavoro di monitoraggio del nostro osservatorio ne ha contatə 117. Come sottolineiamo da anni, femminicidi, lesbicidi e transcidi sono soltanto la punta dell’iceberg della violenza maschile contro le donne, di genere e dei generi, che si riproduce nella società in molti modi e forme, più profonde e radicate nelle istituzioni, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e attraverso i media. Vogliamo quindi continuare a riflettere insieme su cosa significa e come possiamo scioperare dalla violenza l’8M e tutti i giorni.

Il femminismo e il transfemminismo sono per noi strumenti per leggere il presente e riconoscere privilegi, oppressioni e violenze, per connotare il nostro sciopero come un processo di lotta che va oltre la tradizionale forma di interruzione del lavoro e deve essere costruito ogni giorno attraverso una riflessione continua che parte da noi, dalle nostre esistenze materiali e dalle nostre relazioni. È stato, e vogliamo che continui ad essere, uno dei momenti in cui la rabbia e le energie riempiono lo spazio pubblico con i nostri corpi e il nostro desiderio di essere vivə e liberə.

Abbiamo bisogno di costruire sempre di più spazi femministi e transfemministi, fisici e non, per riflettere e immaginare insieme la società radicalmente diversa che vogliamo, per costruire “luoghi” aperti in cui scambiare esperienze e prospettive di lotta, accendere la potenza collettiva, riappropriarci di pratiche e risignificare ancora una volta lo spazio pubblico e privato.

L’obiettivo di questo tavolo è aggiornare la nostra analisi sulla violenza ma anche dotarci di pratiche, strumenti e obiettivi concreti verso e oltre l’8M. Abbiamo immaginato il tavolo con una struttura che tenga un doppio livello di analisi: come organizzare la nostra rabbia e come riconoscere, nominare e fuoriuscire dalla violenza.

Organizzare la nostra rabbia: strumenti e pratiche verso e oltre l’8M

Ci troviamo in un momento molto complesso e minaccioso, caratterizzato da guerre, conflitti, impoverimento e violenza in tutti gli aspetti della nostra vita. La riorganizzazione post pandemica non ci ha aiutato, e anzi ha ulteriormente amplificato la violenza a cui siamo esposte. 

Sappiamo che non esiste un’educazione di genere e transfemminista adeguata e che la famiglia tradizionale, rimessa al centro con forza da questo governo pur essendo in crisi sociale, è uno dei principali luoghi di riproduzione della violenza per le donne e le persone LGBTIAQ+. Vogliamo capire come attraversare gli spazi pubblici e i luoghi della formazione in maniera transfemminista, mettendo al centro delle nostre azioni e riflessioni condivise il concetto di consenso e di molteplicità delle oppressioni dei generi.

Verso il settimo sciopero transfemminista vogliamo quindi interrogarci collettivamente su come organizzare la nostra rabbia, in quali spazi e con quali modalità, in modo che questo sciopero sia davvero di tuttə. 

Domande 

  • Quali pratiche di autorganizzazione dal basso ci diamo per contrastare la violenza e in che modo possiamo trovare delle risposte collettive che ci diano la forza di riconoscere e nominare la violenza che subiamo, senza colpevolizzarci per non essere statə in grado di farlo o di farlo prima?
  • Di quali slogan/parole d’ordine e strumenti ci vogliamo dotare per costruire il prossimo 8M?
  • Cosa fare per non essere solə di fronte alla violenza che ci opprime e sentirci invece parte di una potenza collettiva, furiosa e solidale, e come costruire collettivamente proposte concrete di lotta e sostegno reciproco attraverso le nostre pratiche e i nostri strumenti di cura.

Percorsi di fuoriuscita per donne e persone LGBTQIA+

Sappiamo bene quanto sia difficile riconoscere e nominare la violenza e quanto sia facile sentirci solə. 

Le misure assistenzialiste varate da vari governi sono assolutamente insufficienti a contrastare la violenza e sostenere le persone che vogliono fuoriuscirne, così come i centri e le associazioni che si occupano della formazione e del supporto a questi percorsi di fuoriuscita rischiano di essere completamente inefficaci se non si avvalgono di analisi, strumenti e metodologie femministe e transfemministe.

Le relazioni con i centri antiviolenza laici, femministi e transfemministi (in primis con i cav della rete nazionale D.I.Re), con le associazioni e i gruppi che lavorano per la fuoriuscita dalle situazioni di violenza di donne e persone LGBTQIA+, vanno costruite e coltivate e sono uno strumento fondamentale per contrastare insieme la violenza. È dunque necessario fare rete con queste realtà, rivendicandone il carattere e il valore politico alternativo ai servizi pubblici e istituzionali, ancora fortemente legati a una cultura assistenzialista e a procedure di accoglienza limitate da norme rigide e scarsamente sensibili all’obiettivo dell’autodeterminazione. 

È inoltre fondamentale che mettiamo di nuovo al centro delle nostre discussioni e lotte il reddito di autodeterminazione, sottoponendo a critica l’attuale rapporto tra donne e persone LGBTIAQ+, lavoro e reddito, per rivendicare la nostra autonomia anche al di fuori del lavoro produttivo e di cura, del possesso della cittadinanza italiana o del permesso di soggiorno. 

Domande 

  • Come costruiamo alleanze e connessioni concrete che ci permettano di rispondere alla violenza e cosa possono insegnarci da questo punto di vista l’esperienza e le elaborazioni della rete D.i.Re e delle associazioni LGBTIAQ+ ?
  • Quali pratiche, metodi e strumenti sono necessari per organizzare percorsi di fuoriuscita dalla violenza con approccio femminista e transfemminista e come visibilizzare tutto questo verso e oltre l’8M?
  • Cosa intendiamo quando affermiamo che forme di autonomia economica come il reddito di autodeterminazione sono strumenti fondamentali di fuoriuscita dalla violenza?

TAVOLO SALUTE E ABORTO

REPORT

Seguendo “la teoria della donna malata”, iniziamo questo report ringraziando le persone presenti in assemblea, online o non presenti per ragioni di autotutela, che ogni giorno affrontano la lotta transfemminista con energie fisiche, psicologiche e mentali diverse da quelle previste anche dalla performance dell’attivismo. 

Fin dalla scrittura del Piano, per Non Una di Meno salute non è assenza di malattia, ma benessere a 360 gradi. Abbiamo necessità di riappropriarci e risemantizzare i concetti di salute, cura e benessere fuori dalla logica dell’industria del “wellness”, rivendicandone un’idea integrata e radicale. Questi concetti sono necessariamente connessi in ottica intersezionale con tutti gli altri tavoli, in quanto riconoscendo un’unione imprescindibile di corpo-mente e società, non possiamo che prendere atto di quanto la società capitalista, abilista e performativa in ogni ambito della nostra vita, nell’università, nel lavoro produttivo e di cura, nella difficoltà all’accesso alla casa, nelle discriminazioni legate a genere, razza, classe, disabilità, orientamento sessuale e grassezza produca inevitabilmente una forma incarnata di disagio. È questo sistema che ci fa ammalare e ci impedisce di stare bene. Rifiutiamo di scegliere tra salute e lavoro o tra lavoro e sicurezza, come spesso viene richiesto a chi vive in territori ad alto tasso di inquinamento o a chi vive contratti precari.

Nel tavolo è stata analizzata la carenza strutturale di servizi e la loro privatizzazione, soprattutto in regioni e territori decentrati. Pertanto come movimento ci opponiamo all’ autonomia differenziata, che acuirà le differenze già esistenti tra modelli sanitari regionali e drenerà ulteriori risorse in favore di Regioni più ricche e verso i privati.

La situazione sanitaria già analizzata nelle scorse assemblee nazionali a seguito della pandemia, non è più un’emergenza, ma rende strutturali carenze e protocolli usati nel periodo Covid, che si abbattono soprattutto sulle soggettività oppresse dalla medicina abilista ed eterocisbiancapatriarcale. 

Il tavolo ha fatto emergere, infatti, sia una crisi importante legata alle lunghissime liste di attesa in tutte le regioni, che crea una difficoltà all’accesso alla sanità pubblica ormai ingestibile soprattutto per le persone più povere, sia le violenze mediche che sono facilitate dall’impossibilità di essere accompagnat* in ospedale. Ci opponiamo strenuamente a forme di welfare aziendale che vedono il moltiplicarsi di assicurazioni private finanziate dai datori di lavoro, che vogliamo finanzino, invece, la sanità per tutt* a prescindere dal proprio contratto o non contratto. Vogliamo l’abolizione dell’attività intramoenia del personale medico-sanitario, al fine di evitare classisti salta-coda e per contrastare un’idea di salute come profitto. Siamo solidali con il personale medico-sanitario in lotta in alcuni territori e non vogliamo che le rivendicazioni di snellimento delle liste d’attesa pesino su chi già subisce ritmi estenuanti e rischio burnout, ma vogliamo che esse impongano un rifinanziamento strutturale della sanità ed un aumento degli organici.

Come Non Una di Meno riteniamo assurdo che non si sia generata una grande mobilitazione a tema sanità in questi anni e riteniamo, quindi, necessario metterci urgentemente in rete con tutte le realtà che lottano per una sanità accessibile a tutt*.

Nella settimana ecotransfemminista dell’8 marzo, sentiamo l’urgenza di tornare davanti  e dentro gli ospedali ed i reparti. Come movimento transfemminista sentiamo la necessità di metterci rete per combattere il senso di impotenza che viviamo davanti all’impossibilità di accedere alle cure ed agli strumenti per la nostra autodeterminazione. Vogliamo lottare contemporaneamente per un diritto alla salute che torni ad essere universale e gestito a livello nazionale, diversamente dall’attuale titolo V e dall’autonomia differenziata, ed al contempo denunciare la strutturale natura patriarcale della medicina, che si esprime attraverso invalidazione, gaslighting medico e gate keeping soprattutto per soggettività non conformi alla norma dell’uomo, bianco, cis, abile, etero, di 70 kg, neurotipico, ricco e felice.

Per farlo abbiamo la necessità di costruire alleanze con personale medico-sanitario alleato, che vuole mettere in discussione l’approccio, gli strumenti e la ricerca medica, con studenti di medicina e medic* in formazione che vogliono modificare i percorsi di formazione dall’interno. Abbiamo, inoltre, necessità di riequilibrare il potere medico riappropriandoci delle conoscenze sui nostri corpi attraverso autoesplorazioni e condivisione di saperi situati, che ci aiutino a riconoscere le violenze mediche ed ad autodifenderci collettivamente.

Rivendichiamo una sessualità positiva con un’ educazione sessuale universale e obbligatoria, con una prospettiva di genere non eterocispatriarcale o abilista ed orientata al piacere in tutte le sue forme (non solo genitale); una formazione sulle IST, completa e senza stigmatizzazione, con centri accessibili per test gratuiti in tutte le regioni; la gratuità dei metodi contraccettivi ormonali, con un’aumento della ricerca rispetto alle interazioni con altri farmaci e con le terapie legate all’affermazione di genere. È necessario riprendere un discorso transfemminista sulla prevenzione, che tenga al centro gli allarmanti dati della diffusione dell’HIV tra le persone con utero, e rivendichi l’accessibilità della PREP, molto costosa per persone AFAB (donne, persone trans+, non binarie, intersex con utero), in quanto immaginata solo per rapporti pene con pene,  senza alcun riguardo a sex workers, persone AFAB in relazioni abusati o che potrebbero volerne usufruire per propria sicurezza; vogliamo denunciare la struttura diminuzione, fino all’assenza, di screening gratuiti per HPV e tumore al seno/petto in ogni regione e la discriminazione che subiscono le persone trans+ dopo il cambio dei documenti per accedere ad esse.

Sentiamo la necessità che la nostra rete diventi cassa di risonanza e miccia di esplosione per tutte le campagne spontanee sulla salute che partono sul web e sui territori, politicizzando il vissuto personale di tant* di noi e di chi ancora non ha incontrato il transfemminismo. Pertanto vogliamo riprendere in piazza il tema della  malattie croniche persone invisibilizzate (endometriosi, vulvodinia, fibromialgia,  adenomiosi, cistite interstiziale, dolore pelvico) affrontato lo scorso anno e vogliamo interrogarci su come politicizzare il potente flusso di condivisioni avvenuto via social nelle ultime settimane rispetto alla violenza ginecologica ed ostetrica nel pre parto, nel parto e nel post partum. Riteniamo fondamentale costruire un filo rosso che tenga insieme nel discorso pubblico la violenza medica legata alla maternità e la violenza legata all’aborto, al fine di eliminare lo stigma e la narrazione divisiva che viene promossa dall’alto, mentre nelle esperienze quotidiane viviamo la stessa sovradeterminazione sui nostri corpi.

Vogliamo metterci in rete con le realtà che si occupano di autodeterminazione delle persone trans+ e di mutualismo per persone trans, al fine di lottare insieme per superare i protocolli e la psichiatrizzazione obbligata, per fare pressione sulla presenza di centri pubblici accessibili in ogni regione, per dei percorsi di affermazione di genere che rispettino le volontà di ognunə. 

Ribadiamo, come già presente nel Piano, la volontà di metterci in rete anche con realtà che lottano per l’autodeterminazione delle persone intersex, contro ogni forzata medicalizzazione dei loro corpi finalizzata a farli rientrare nei canoni imposti del binarismo di genere.

Pur consc* che la salute transfemminista, date tutte le rivendicazioni esposte fino a qui, non possa limitarsi all’IVG, riteniamo necessario in questa fase dare una risposta radicale agli attacchi che stiamo vivendo sul tema dell’aborto.ù

Ribadiamo che l’aborto è un’esperienza personale e che Non Una di Meno rifiuta l’automortificazione imposta, come unica esperienza possibile.

Nell’ultimo anno sono vertiginosamente aumentati gli accompagnamenti all’IVG che effettuano tanti nodi o realtà a noi affini, rendendo evidente come le realtà dal basso siano sempre più il primo contatto di fiducia per tantissime donne e persone trans+ che vogliono abortire.

Con estrema gratitudine verso noi stess* ed ogni realtà che si impegna in pratiche mutualistiche e di sorellanza, dobbiamo, però, analizzare la problematicità di ritrovarci a gestire con sempre più frequenza, difficoltà energetiche ed emotive, la scelta politica delle istituzioni di rendere l’IVG sempre più inaccessibile.

Vogliamo portare in piazza nella settimana ecotransfemminista dell’8 marzo un manifesto per la salute sessuale e riproduttiva che vogliamo, che attraverserà i luoghi della salute che in quei giorni vogliamo occupare in senso fisico, politico e narrativo in modo coordinato a livello nazionale. Intendiamo, dunque, lanciare un tavolo permanente di discussione su IVG e consultori, che coordini le iniziative dei nodi territoriali, lo scambio di pratiche e di esperienze, con il mandato politico di definire concretamente e in modo specifico che cos’è per noi “molto più di 194”, a partire dall’analisi delle esperienze delle nuove leggi spagnole e argentine, aprendo spazi nuovi di immaginazione della nostra salute sessuale e riproduttiva da portare in piazza. Non possiamo rispondere al ribasso o in difesa agli attacchi sulla personalità giuridica del feto, che cambia completamente il significato dell’IVG come libera scelta, criminalizzando donne e persone gestanti come criminali. Vogliamo attaccare, a partire dalla diversità di esperienze territoriali, senza accontentarci più dell’esistente e di usare lo slogan “molto più di 194” in modo astratto. Sentiamo la necessità di concretizzarlo nella nostra pratica politica di pungolo, monitoraggio, messa in difficoltà di antiabortisti, no gender, obiettori, istituzioni sanitarie, ma anche con la sperimentazione di nuovi diritti, che possiamo permetterci grazie al portato di 7 anni che abbiamo alle spalle e lo sguardo ad un futuro di possibilità inesplorate. Vogliamo costruire una piattaforma politica chiara, che rende comprensibili a tutt* le nostre rivendicazioni e che diventi miccia propulsiva della nostra lotta, evitando così di trasformare le nostre importantissime e rivoluzionarie esperienze autogestite di cura e di accompagnamento, in semplice sussidiarietà al servizio pubblico definanziato. Vogliamo, invece, mettere a sistema tutte le nostre storie e le storie delle persone che in questi mesi ci hanno dato fiducia in ogni aborto accompagnato e supportato, per rendere politica la nostra vita, come da sempre facciamo. Ci riserviamo il diritto di immaginare nuove modalità di accesso alla salute diverse dall’esistente, a partire dai nostri bisogni e desideri, così come insegnatoci da decenni di genealogia femminista di immaginazione radicale. Se si appropriano delle nostre parole, è il momento di crearne di nuove.

Alcuni spunti emersi:

  • abolizione dei 7 giorni di ripensamento nei certificati IVG; 
  • abolizione obiezione di coscienza e richiesta di liste pubbliche con nomi e cognomi del personale sanitario obiettore nella fase di transizione;
  • aborto farmacologico come principale modalità con cui vengono praticate le IVG, con un aumento  della finestra temporale di settimane in cui è possibile la somministrazione della RU486 in linea con la tutela della salute delle persone AFAB e con quanto accade in altri Paesi europei;
  • aumento delle settimane per accesso all’aborto chirurgico e abolizione della psichiatrizzazione forzata, oggi necessaria per l’aborto terapeutico. Il criterio di riflessione sul massimo di settimane per l’IVG deve essere la salute della donna o persona trans+, non un dibattito bioetico teorico su quando inizia la vita, costruito da alti professori universitari e membri della Chiesa a scapito dei nostri corpi.
  • Maggiore accessibilità dell’’IVG per donne e persone trans+ con background migratorio, poiché, sebbene l’IVG sia una procedura slegata dalla cittadinanza, le barriere linguistiche e burocratiche creano spesso una lotta contro il tempo ancora più spietata. Vogliamo la possibilità di accesso all’IVG anche senza STP o con rilascio contestuale in ogni regione;
  • possibilità di IVG gratuita anche a chi ha visto turistico, poiché molte persone usano questo visto come espediente per rimanere in Italia, ma attualmente possono svolgere IVG solo a pagamento. 
  • introduzione dei mediatori culturali come figura obbligatoria in ogni consultorio, ospedale e struttura sanitaria;
  • Pretendere l’anestesia locale e non totale per IVG chirurgica e denunciare l’abuso della pratica del raschiamento, rendendola illegale se non per specifiche necessità;
  • Iniziare a discutere della pratica di aborto telemedico e deospedalizzato, come accade già in diversi Paesi europei;
  • riconoscere il benessere riproduttivo nell’autodeterminazione, slegato da un presunto destino di maternità. Incentivare la contraccezione (temporanea o permanente). Permettere la chiusura delle tube in età fertile anche alle persone che non hanno avuto figlix e senza psichiatrizzazione.
  • riconoscere la necessità di rendere il parto accessibile per scelta, promuovendo l’accesso agevolato al congelamento degli ovuli tramite SSN, oggi previsto solo per chi vive malattie oncologiche, anche per chi vive patologie croniche. 
  • rendere la fecondazione assistita una pratica coperta dal SSN ed economicamente accessibile per tutt* le persone con utero, specie per persone in relazioni non etero-tradizionali e donne, persone trans+ ed intersex che sono single, contro un’idea di famiglia oramai obsoleta.
  • Sentiamo la necessità di confrontarci in modo approfondito e complesso sul tema dei consultori, che ad oggi sono luoghi molto diversi a seconda dei territori. In molte Regioni i consultori, inseriti nel definanziamento della sanità pubblica descritto precedentemente, erogano servizi ambulatoriali in modo completamente depoliticizzato e svuotato dalla propria portata femminista, con difficoltà di accesso, necessità di passaggio al CUP, approccio giudicante e non accogliente ed in alcuni casi, in piena illegalità, perfino personale obiettore di coscienza.
  • Vi sono strategie e situazioni politiche regionali diverse, inevitabilmente basate sui rapporti di forza politici regionali e sui modelli sanitari vigenti, che vedono nell’esperienza della Consultoria FAM di Torino e dell’assemblea delle donne e delle libere soggettività dei consultori del Lazio due modelli apparentemente distanti, ma in realtà accomunati dalla necessità di costruire strumenti di controllo permanente sui servizi, restando spine nel fianco delle istituzioni sanitarie e dando possibilità concrete di accesso alla cura a tante donne e persone trans+ che non la troverebbero altrimenti. Vogliamo potenziare le reti attorno ai consultori e pretendere l’apertura di nuovi luoghi per la salute transfemminista progettati insieme a noi, combattendo le chiusure dei consultori esistenti e le incursioni cattofasciste in essi. Lottiamo contro i finanziamenti alle associazioni no gender e la loro presenza negli spazi pubblici, favorita da tante istituzioni regionali di estrema destra. Vogliamo spazio per associazioni e collettivi transfemministi nei consultori, come dall’esperienza di Roma, e personale dei consultori dedicato solo ad essi, senza altri turni in ospedali o ambulatori, con formazione obbligatoria sulla cura transfemminista delle operatrici, affinché si ripoliticizzino concretamente quei luoghi. L’inserimento dei consultori nelle case di comunità, che rappresenta l’apice della loro depoliticizzazione, va frenato, immaginando invece di orientare noi in modo diverso, in rete con altre realtà, i fondi PNRR dedicati alla salute che le stanno costruendo, al fine di contrastare la visione ospedalocentrica dei servizi territoriali e tutelare la salute di prossimità, unico possibile strumento per una presa in carico integrata della persona.

    Proposte operative:
  • Costruire noi, per una volta, “il caso” a partire dalla situazione nelle Marche-Umbria-Abruzzo, promuovendo una mobilitazione nazionale di Nudm per l’accesso all’IVG nelle Marche che, proprio a partire  dalle Regioni laboratorio delle destre, possa invadere il Paese con la nostra marea;
  • Apertura di un tavolo permanente di discussione su IVG e consultori, che coordini le iniziative dei nodi territoriali, lo scambio di pratiche, di esperienze, con il mandato politico di affrontare concretamente la discussione su che cos’è per noi “molto più di 194,” a partire dall’analisi delle esperienze delle nuove leggi spagnole e argentine, aprendo spazi nuovi di immaginazione della salute sessuale e riproduttiva che vogliamo.
  • Apertura di una chat di scopo per coordinare gli accompagnamenti tra regioni, i casi complessi di aborto fuori dai termini di legge o di persone razzializzate con difficoltà sui documenti.
  • Ampliare la rete di supporto alle IVG e costruzione di una giornata nazionale di scambio tra territori per autoformazione e pratiche di autotutela legale e psicologica;
  • Attivare una cassa-mutua nazionale per gli supportare gli spostamenti tra Regioni legate alle IVG e le IVG a pagamento nei casi di visti turistici;
  • Costruire diverse mappature permanenti e periodiche:
    • Mappare il n. di consultori in relazione al numero di abitanti e l’operatività dei servizi offerti;
    • Riprendere l’attività di mappatura sull’obiezione di coscienza e la somministrazione della RU486 in ospedali e consultori;
    • Produrre dati sugli spostamenti tra regioni e paesi per IVG, a partire dai nostri accompagnamenti;
    • Attivare una mappatura di personale medico-sanitario alleato, utile per la rete di supporto alle IVG;
    • Rendere i dati accessibili su sito ad hoc come dall’esperienza dell’osservatorio femminicidi e transcidi.
  • Coordinare a livello la lotta contro i no gender/antiscelta con pratiche radicali per lo smascheramento del falso mito degli aiuti economici alle persone gestenti in gravidanza.

Ci vogliamo viv3, ci vogliamo in salute, ci vogliamo felici!

INDICAZIONI PER PARTECIPARE (EVENTO PASSATO)

Aula 18

TRACCIA

Il tavolo sarà organizzato in due parti. Una prima parte più generale sui temi della salute transfemminista ed una seconda parte, come da mandato dell’assemblea di Reggio Emilia, sarà utilizzata per costruire una piattaforma pubblica radicale e transfemminista sull’IVG e i consultori che vogliamo, che superi radicalmente la 194. A partire da qui definiremo anche i punti principali per la campagna verso e oltre l’8 marzo e le modalità con cui il tavolo continuerà a confrontarsi in modo permanente, sia per implementare la riflessione politica condivisa che per costruire pratiche e strumenti nazionali e favorire le reti di mutuoaiuto dal basso.

PRIMA PARTE

A partire dall’analisi della situazione sanitaria attuale post covid, prendiamo atto che i protocolli di emergenza siano diventati un espediente strutturale per ridurre i servizi in termini strutturali, impedire gli accessi e gli accompagnamenti, mantenere lunghissime liste d’attesa e difficoltà di accesso alla sanità pubblica, causata da anni di definanziamento strutturale. 

Come vogliamo integrare il Piano e andare oltre alla luce della nuova normalità post-pandemica? Cosa è mancato nelle riflessioni dell’epoca e come possiamo affrontare temi solitamente non affrontati nel nostro dibattito interno, come ad esempio la prevalenza sempre più alta di HIV tra persone AFAB o l’abilismo del SSN, con alleanze in ottica intersezionale? Come non perdere riflessioni importanti ed aggregative come la campagna sulle malattie invisibilizzate? Come far emergere con ancor più forza nel discorso pubblico il legame tra l’attacco all’autodeterminazione delle donne con quello delle persone trans+ e con quali alleanze? Come dare forza alla grande esposizione pubblica di esperienze di violenza ostetrica avvenuta nelle scorse settimane per una gravidanza e parto che tenga al centro il benessere, i bisogni e la possibilità di scelta della donna e della persona gestante, fuori da uno standard di maternità imposto? Come connettere violenze e attacchi su maternità e aborto in una cornice politica comune che unisca le violenze nel campo della salute riproduttiva?  Come costruire strumenti di autodifesa dalla violenza medica e dal gaslighting medico che riguarda quotidianamente donne, soggettività trans+, grasse, disabili, razzializzate? Quali strumenti promuovere per diffondere una rinnovata consapevolezza sui corpi? 

SECONDA PARTE

Dopo alcuni anni dalle linee guida del ministero della salute che promuovevano la somministrazione della RU486 anche nei consultori e annullavano l’obbligo di ricovero, rimasta sostanzialmente inapplicate in buona parte d’Italia, è il momento di fare il punto. 

Come costruiamo una piattaforma politica radicale condivisa e una mobilitazione sull’aborto e sui consultori che vogliamo, che superi nel concreto la 194 e gli attacchi che stiamo ricevendo (DDL Gasparri e Menia)? 

A partire dalle nostre storie personali e da ciò che le tante esperienze territoriali di accompagnamenti all’aborto ci hanno insegnato concretamente, sappiamo da anni che non basta più parlare solo di difesa della 194, di abolizione dell’obiezione di coscienza, di difesa dei consultori, ma occorre con urgenza lanciare il cuore oltre l’ostacolo ed entrare ancora più nello specifico un’idea di IVG, consultori e salute diversa. 

Quali sono i punti cardine per una proposta di manifesto di Non Una di Meno sulla salute sessuale e riproduttiva che vogliamo, da portare in piazza nella settimana ecotransfemminista dell’8 marzo, per rilanciare la lotta su salute e autodeterminazione, con grande attenzione alle difficoltà di accesso all’IVG delle persone razzializzate e trans+? Cosa vuol dire per noi aborto deospedalizzato e come ci immaginiamo di coniugare la libertà di accedere più facilmente all’IVG, vivere la propria IVG secondo necessità e autonomia, ma tenere ferma la responsabilità della sanità pubblica di garantirla? Come possiamo costruire un dibattito pubblico sull’aumento del numero di settimane di somministrazione dell’RU486 e dell’aborto chirurgico che tenga al centro la salute e l’autodeterminazione della persona gestante e non teorici principi bioetici sull’inizio della vita? Come evitare psichiatrizzazione forzata in caso di IVG fuori dai termini o di richiesta di chiusura delle tube? Come ripoliticizzare i consultori dall’interno, contrastandone la neutralizzazione, i definanziamenti e l’accesso dei nogender? Come connettere una sessualità non sessista, abilista ed etero-cis normativa alle rivendicazioni sulla giustizia riproduttiva?


Quali obiettivi, pratiche e strumenti comunicativi ci diamo per costruire una campagna politica continuativa che rilanci il nostro manifesto verso e oltre l’8 marzo, metta in rete l’azione già presente sui territori e la nostra idea di autodeterminazione, per l’aborto libero, sicuro e gratuito e per il diritto alla salute? Come fare rete con il personale medico e sanitario alleato? Come possiamo supportare, facilitare e rafforzare a livello nazionale le reti di mutuo aiuto dal basso e di assistenza all’IVG che esistono sui territori, specie a supporto delle regioni in cui l’obiezione è completa o quasi?

REPORT E INFO TAVOLO LAVORO, WELFARE, REDDITO DI AUTODETERMINAZIONE


REPORT

Crisi e resistenza

L’analisi del tavolo di lavoro ha preso le mosse dalla situazione di crisi che stiamo vivendo e dalle strategie di resistenza che possiamo adottare insieme.

La guerra in Ucraina e la crisi pandemica hanno aggravato la crisi economica e sociale già in corso e le forme radicate di discriminazione, che si manifestano in modi diversi e che colpiscono differenti soggettività, tutte caratterizzate dalla precarietà, dall’emarginazione, dalla divergenza rispetto al modello maschile, occidentale e borghese. 

Il carobollette ha impoverito ulteriormente i ceti già poveri e la manovra di bilancio dell’attuale governo non fa nulla per redistribuire la ricchezza, al di là della propaganda sui bonus per le bollette. Si continua a promuovere un modello di economia neoliberista che noi critichiamo aspramente. 

La precarietà, lo sfruttamento, la ricattabilità colpiscono ogni giorno i precar*, le minoranze, le persone transessuali e disabili. 

A questa situazione di frammentazione del mondo del lavoro e del tessuto sociale si aggiunge l’autonomia differenziata che causa altre divisioni nel mondo delle lotte e nuove forme di discriminazione a livello nazionale, aggravando la differenza di opportunità e servizi tra nord e sud Italia. 

Diverse sono le strategie che come NUDM intendiamo adottare: dal dialogo con i comitati per il carobollette alla creazione di piazze tematiche che ci consentano di essere presenti nei quartieri e nei mercati, di dialogare con chiunque senta il bisogno di raccontare la sua storia. 

Una delle forme più forti di resistenza e manifestazione del dissenso è lo sciopero, e in particolare quello dell’8 marzo. Tuttavia, ci sono alcune difficoltà che ci proponiamo di affrontare e superare: una di queste è il dialogo spesso molto difficile con i sindacati e con molt* lavorator*, specie con quell* più precar* per cui è davvero complicato scioperare. Riteniamo che lo sciopero trasfemminista sia uno strumento vivo di lotta, che cerca di ampliare le tradizionali lotte sindacali ma che, d’altro lato, presenti ancora dei limiti nelle adesioni e nella capacità comunicativa. 

Lavoro, violenza economica e sfruttamento

Il mondo del lavoro si presenta sempre più come un mondo di sfruttamento, violenza e discriminazione. La precarietà frammenta l’unità dei lavoratoru, che si ritrovano a vivere in condizioni di lavoro diverse da quelle dei loro collegu pur svolgendo la stessa mansione.

Questa profonda divisione fa sì che si verifichino episodi di violenza e molestie le cui vittime sono le donne e le soggettività lgbtqui+ più discriminate, più fragili e più precarie. Se un lavoratore a tempo indeterminato molesta una lavoratrice precaria, sarà il primo a prevalere, nonostante la formale solidarietà nei confronti della vittima e il retorico sdegno di rito. 

La lotta per la dignità sul lavoro e quella di genere sono due facce della stessa medaglia: pretendiamo il riconoscimento della dignità di lavoratoru e di persone. Il ricatto dei licenziamenti di massa, l’impossibilità a lavorare che rende massive le dimissioni di molte donne e giovanu vanno combattute attraverso questa doppia battaglia. 

La discriminazione contrattuale, salariale e di genere pesa ancora più gravemente sulle persone razzializzate: basta osservare come le grandi aziende assumano maschi italiani mentre le cooperative a cui si appaltano alcune fette di produzione o servizi assumano persone non italofone e non bianche. Questo ci ha condotte a riflettere anche sulla questione degli appalti, soprattutto nel terzo settore. Nel settore dei servizi, con manodopera prevalentemente femminilizzata, lo sfruttamento di genere, la precarizzazione, il ricatto e la discriminazione sono all’ordine del giorno. Continue e numerose sono le testimonianze che ci arrivano dalle lavoratrici di questo settore. 

Un’ulteriore discriminazione riguarda le persone disabili, escluse spesso a priori dal mondo del lavoro, senza avere nemmeno la possibilità di mostrare le proprie competenze e conoscenze.  

Rivendichiamo un mondo del lavoro più aperto e inclusivo, che non chiuda le sue porte di fronte ad una persona trans o disabile, che non releghi una persona immigrata al fondo della piramide delle mansioni per mero pregiudizio. A questo proposito, chiediamo che le aziende mettano in trasparenza le competenze rischieste e che queste siano verificate anche se i titoli di studio esteri non risultano equivalenti a quelli italiani. 

Violenza significa anche dover dedicare la propria intera giornata al lavoro: chiediamo una riduzione dell’orario lavorativo a parità di salario. Una riduzione necessaria per un mondo sostenibile, sia dal punto di vista umano che ambientale. 

Violenza è anche dover lavorare in un luogo di lavoro non ospitale, in cui i servizi igienici sono lontani o inadeguati alle diverse esigenze dei diversi corpi. Rivendichiamo luoghi di lavoro accoglienti e un concetto di salute/malattia che non sia imposto dall’alto, che rispetti l’individualità dei lavoraturu. Chiediamo, ad esempio, che il congedo mestruale diventi una regola e non un’eccezione. 

Nel periodo pandemico la violenza ha ricevuto un nuovo nome, quello di smartworking. Violenza su tutte quelle donne che hanno dovuto occuparsi contemporaneamente del lavoro e della cura domestica, senza alcuna regolamentazione degli orari e delle pause dal lavoro, costrette ad essere disponibili per l’azienda e per la casa durante l’intera giornata. Dietro la parola smartworking si sono nascosti spesso il sopruso e lo sfruttamento, lavorativo e domestico. 

La violenza del mondo del lavoro si sta riversando in modo sempre più drammatico anche sul mondo della scuola. Una scuola sempre meno finanziata e sempre più militarizzata, sempre meno indirizzata alla formazione di menti critiche e consapevoli, sempre più dedita ad irreggimentare ed educare al lavoro (qualunque esso sia e in qualunque condizione) e alla guerra. Una scuola che esclude e discrimina, come nel caso della didattica a distanza, che ha radicalizzato le differenze tra gli studentu di serie A e quellu di serie B, che non hanno internet a casa, che vivono in abitazioni fatiscenti o in contesti familiari difficili. La violenza economica a scuola si chiama anche PCTO, Percorso per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (ex alternanza scuola-lavoro), che spesso si svolge senza il rispetto delle norme di sicurezza e sindacali e in luoghi non certo educativi, come le basi NATO. Ricordiamo i ragazzi che sono morti durante l’alternanza ed esprimiamo la nostra solidarietà a tuttu gli studentu che hanno manifestato contro questa nuova forma di sfruttamento e reso omaggio alle vittime di questa ennesima e inaccettabile violenza. 

Welfare

La propaganda familistica e reazionaria di questo governo si coniuga perfettamente con la sua politica neoliberista di attacco allo stato sociale. 

La retorica della donna madre di famiglia e angelo del focolare giustifica la riduzione all’osso dei servizi in ambito scolastico e sanitario, addossando sulle famiglie e sulle donne in modo particolare il lavoro di cura.

NUDM si muove sul doppia binario della critica a concetto tradizionale di maternità e alla critica del neoliberismo, proponendo un nuovo concetto di genitorialità e rivendicando la collettivizzazione del lavoro di cura. 

Dal concetto di maternità, dunque, a quello di genitorialità condivisa, che implica un rafforzamento e un potenziamento dello stato sociale. Una genitorialità serena e libera è possibile solo se ci sono scuole, asili, presidi medici gratuiti e accessibili, luoghi di lavoro accoglienti e che forniscano dei servizi adeguati per chi deve portare sul luogo di lavoro i propri figli. 

Il problema del mondo dei servizi non riguarda soltanto coloro che usufruiscono dei servizi, ma anche tutt* quell* che ci lavorano. La precarietà, lo sfruttamento e l’insufficiente retribuzione sono un problema particolarmente grave nel mondo dei servizi e del terzo settore. 

Uno stato sociale solido è uno strumento di libertà per tutte quelle donne che cercano di uscire da un contesto familiare violento: la presenza di consultori sul territorio e case famiglia che possano accogliere chi fuoriesce da un contesto violento sono fondamentali per arginare il fenomeno della violenza di genere. 

L’emergenza abitativa è un’altra causa di violenza, sfruttamento e ricattabilità: la gentrificazione delle città e dei luoghi turistici di tutta Italia ha reso sempre più difficile trovare una casa decorosa a prezzi accettabili. I più pover* sono spinti ai margini delle città, nelle zone più difficilmente accessibili, dove diventa ancora più difficile cercare un lavoro. La casa è un diritto di tutt*!

Spesso la questione dei senzatetto è affrontata da un punto di vista meramente maschile: come NUDM chiediamo che si guardi anche alle soggettività divergenti e ci proponiamo di formare un tavolo che si occupi proprio di questa questione. 

Chiediamo, dunque, una riforma e un potenziamento dei congendi parentali, la possibilità di ottenere più facilmente una residenza, la mediazione dei comuni per calmierare gli affitti e per garantire un alloggio anche a chi non ha un contratto a tempo indeterminato e una busta paga sufficiente a prendere in affitto una casa.  

Reddito di autodeterminazione

Vogliamo un reddito come restituzione di valore laddove il capitalismo “valorizza” ogni aspetto della nostra vita, senza riconoscerlo. La rivendicazione del reddito di autodeterminazione si fonda sul principio per cui il capitale espropria tempo e lavoro ben al di là del lavoro salariato, come il lavoro di cura non riconosciuto.

 – Nesso tra reddito di cittadinanza, salario minimo e reddito di autodeterminazione. La necessità di difendere il reddito di cittadinanza riguarda non soltanto i percettori del reddito, ma anche i lavoratoru, in quanto l’abolizione del reddito implica un’ulteriore stretta sui salari. Reddito di cittadinanza e rivendicazione di un salario minimo sono dunque strettamente collegati. Se il reddito si configura come una battaglia difensiva, quella sul salario minimo e sul reddito di autodeterminazione rilanciano la lotta verso obiettivi più ambiziosi. Come diciamo per la 194 sull’aborto, vogliamo molto più del reddito di cittadinanza, non solo difenderlo ma attaccare.

 – Problemi legati a queste rivendicazioni: i percettori di reddito spesso sono assenti alle piazze che manifestano in difesa del reddito di cittadinanza (senso di vergogna).

spesso sono soggetti non politicizzati, come icontrarlu, esigenza di trovare linguaggio 

Inoltre, è difficile farsi capire quando si parla di reddito di autodeterminazione, proprio da quei ceti più fragili che ne avrebbero più diritto. come comunichiamo in modo più accessibile che reddito vogliamo? Chiamiamolo reddito di felicità!

-violenza domestica e reddito autodeterminazione

-CAV: più finanziamenti con fondi pubblici, per non limitare le loro possibilità ma renderli punti di lotte collettive. Trovare linguaggio e modi per comunicare, contattare persone che subiscono violenza



 

INDICAZIONI PER PARTECIPARE – Evento passato

AULA 13, PALAZZO NUOVO

TRACCIA

Il tavolo partirà dalle esperienze delle persone presenti e dalle istanze discusse nei momenti di confronto sul lavoro dei nodi territoriali in questi ultimi mesi. La fase complessa che stiamo attraversando renderà anche necessario riprendere in mano un’analisi di fase più ampia, interrogandoci insieme su come comprendere e interpretare in una chiave transfemminista la crisi socioeconomica nazionale e transnazionale e le ultime manovre del governo. L’obiettivo di questo tavolo è quello di confrontarci, aggiornare i nostri strumenti analitici ma anche sviluppare proposte concrete, nuove campagne e pratiche per portare avanti la nostra lotta contro il lavoro precario e sfruttato, per un welfare pubblico su tutto il territorio e per un reddito di autodeterminazione, verso e oltre lo sciopero dell’8 marzo.

Lavoro, violenza economica e sfruttamento:

– Come influiscono sulle nostre vite le condizioni lavorative odierne caratterizzate da precarietà, sfruttamento e salari da fame? Quali sono le loro conseguenze economiche, sociali e psicologiche che sentiamo essere più violente? 

– In particolare: qual è la situazione nel contesto delle professioni e dei percorsi formativi che coinvolgono le donne in quanto considerate ‘adatte’ al lavoro di cura/domestico anche sul posto di lavoro (come insegnamento, segretariato, pulizia, servizi sociali, i cosiddetti lavori femminilizzati)?  Quali condizioni caratterizzano le professioni e i percorsi formativi in cui si trova coinvolto il maggior numero di donne?

– Come dare visibilità al carico emotivo e fisico che questi lavori comportano? 

– Qual è la situazione nel terzo settore, per esempio nelle cooperative sociali in esternalizzazione e multiservizi molto femminilizzati, ma anche nella cultura e nello spettacolo?

-Recentemente si sta parlando molto delle cosiddette “grandi dimissioni” è un fenomeno che presenta anche delle specifiche connotazioni di genere?

– Come ridistribuire il lavoro di cura che svolgiamo dentro e fuori casa?

– Come ritagliarci del tempo per noi, come promuovere spazi di vita al di fuori del mercato, dove sia possibile vivere a pieno la nostra autodeterminazione?

– Come è possibile visibilizzare le condizioni con cui ci confrontiamo nel percorso verso l’8 e, soprattutto, attraverso le pratiche di sciopero in quella giornata?

Welfare:

– Quali sono le rivendicazioni e proposte concrete rispetto al welfare che desideriamo? Quali i nostri immaginari transfemministi al riguardo?

– Come combattere il fenomeno per cui lo stato scarica sulle famiglie e in particolare sulle donne gli oneri del welfare di cui non si fa carico, in particolare in un contesto in cui la comunicazione e soprattutto le politiche economiche del governo rilanciano il familismo? 

– Come andare oltre alla frammentazione delle lotte per il welfare (casa, reddito, genitorialità) attraverso la prospettiva transfemminista?

– Come la gentrificazione sta cambiando l’accesso e la vivibilità delle città per le donne e le soggettività dissidenti?  Dove stanno e come si muovono questi corpi nelle città di oggi?

– Quali rivendicazioni possiamo affermare in merito alla parità genitoriale? Congedi, tempi di vita e tempi di lavoro…

– Quali sono le possibilità e modalità di socializzazione della riproduzione, ovvero come possiamo rendere condiviso e collettivo nella società il lavoro domestico e di cura?

– Come scioperiamo dal lavoro riproduttivo e rendiamo visibile l’8 marzo il carico di lavoro domestico e di cura che subiamo?

Reddito di autodeterminazione:

– Come attualizziamo la nostra rivendicazione di un reddito di autodeterminazione in un contesto da un lato di forte impoverimento e dall’altro in cui anche una misura non sufficiente come il reddito di cittadinanza viene ridimensionata in maniera significativa e lasciata in essere per le sole persone definite non occupabili mentre tutte le altre devono accettare condizioni di forte ricatto?

– Come ci interfacciamo con le lotte e campagne contro l’abolizione del reddito di cittadinanza che nascono o nasceranno nelle nostre città?

– Quali potenzialità e quali difficoltà vediamo nella lotta per il reddito in questo contesto di crisi e inflazione?

– Come portare la lotta per il reddito nel percorso verso l’8 e nelle pratiche di sciopero?

Crisi e resistenza:

Capire la crisi:

-Come la guerra,e prima la pandemia, ha inciso sulla qualità della nostra vita e su quella dei ceti sociali più deboli?

– Come non arretrare ma rilanciare sulla necessità di un welfare universale, della lotta al precariato, della necessità di un innalzamento significativo dei salari, del sostegno al reddito alla luce della ulteriore stretta liberista del governo con i suoi bonus occasionali al posto di diritti realmente esigibili?

Ampliare le nostre reti:

– Come creare reti di supporto fra le lotte sul lavoro? Quali esperienze si possono condividere?

– Come creare casse di resistenza di sostegno alle lotte? Come strutturarle?

– Come coinvolgere nella rete i soggetti più lontani dalle città e dai luoghi più attivi politicamente?

– Come continuare a dialogare ed organizzarci con le differenti realtà con cui si confrontano i diversi nodi quando si occupano di lavoro e welfare (sindacati, gruppi di lavoratrici, comitati contro il carovita, movimenti di lotta per la casa…)? Come organizzare lo sciopero dell’8 marzo insieme a queste realtà (quali iniziative di preparazione materiali comunicativi, interventi, riflessioni)? 

– Quali tipi di autoformazione e momenti di condivisione di strumenti e pratiche sono più urgenti?

– Ci sono delle campagne relative a lavoro e welfare che vorremmo lanciare verso e/o oltre l’8M (esempi: salario minimo, reddito di cittadinanza, servizi sociosanitari e oltre)? Con quali strumenti vogliamo comunicarle perché le persone possano riconoscercisi? A chi vogliamo rivolgerci e chi vogliamo coinvolgere? Come possiamo farlo?


Da oggi all’8 marzo…

Dopo esserci confrontatə a partire da questi spunti, ci prenderemo un momento per mettere a sistema e organizzare le proposte comunicative, organizzative, pratiche emerse per il percorso verso lo sciopero e per la giornata dell’8 marzo:

    – Comunicazione: Di quali strumenti comunicativi vogliamo dotarci? A quali temi vogliamo dare maggiore risalto? Quali slogan e parole d’ordine ci sembrano più adeguate?

    – Percorso di costruzione dello sciopero: Chi vogliamo coinvolgere? In quali luoghi e con quali iniziative possiamo raggiungere le persone che vorremmo che scioperassero?

    – Pratiche per la giornata dell’8 marzo: quali pratiche di sciopero e di lotta possono visibilizzare e portare in piazza le condizioni e le rivendicazioni di cui abbiamo parlato? Come scioperiamo dal lavoro produttivo se non abbiamo la possibilità di aderire formalmente allo sciopero sindacale? Come scioperiamo dal lavoro riproduttivo e dai generi?

tavolo scuola e formazione


REPORT

Il confronto all’interno del gruppo di discussione è stato ricco e proficuo. Molte delle persone presenti, oltre ad essere attivistə, lavorano e studiano all’interno del contesto scolastico e universitario, e hanno dunque portato la loro esperienza di docentə, studentə, educatorə nei diversi settori della formazione. 

Abbiamo fin da subito registrato che, aldilà della provenienza geografica e dell’ordine di scuola di riferimento, le narrazioni e le analisi che sono state condivise, hanno messo in evidenza molti aspetti problematici comuni che abbiamo sintetizzato in 4 macro questioni: 

– la mancanza di risorse e di investimenti

– la didattica

– i temi dell’inclusività e dell’autodeterminazione

– la formazione del “merito”

Abbiamo rilevato come la mancanza di risorse sia trasversale ad ogni grado e ordine di scuola. Gli investimenti sono assolutamente insufficienti su più fronti: dall’edilizia scolastica alla carenza e alla stabilizzazione del personale precario, dall’innovazione  al contrasto alla dispersione scolastica e alle povertà educative, con scarsissima attenzione verso le condizioni di disparità e disuguaglianze presenti a livello sociale e di conseguenze dentro il contesto scolastico. 

Migliaia di lavoratorə precariə ogni anno combattono con un sistema di reclutamento iniquo e umiliante. I problemi strutturali sono talmente urgenti che anche il dibattito sindacale è spesso purtroppo compresso su carenze e inefficienze del sistema-scuola, senza spazio di confronto su didattica, apprendimento, metodologie.

Per quanto riguarda la didattica si è ragionato sull’inadeguatezza dei programmi ministeriali, ancora attestati su un registro di universalismo tutto maschile, sulla totale assenza di alcune tematiche e su quanto didattica e apprendimento siano impostati in termini gerarchici e autoritari. Si è inoltre discusso di come la scuola continui a separare le emozioni e il benessere delle persone dagli aspetti cognitivi e dell’apprendimento e di come i corpi, le relazioni, i sentimenti, la sessualità, gli amori, siano ciò che viene considerato sempre e comunque “fuori tema”, marginale. 

L’intera conformazione dei luoghi della formazione è infatti funzionale alla separazione e all’individualizzazione: dalla struttura degli ambienti (edifici/aule) alla struttura e alle pratiche della formazione (lezioni frontali/valutazione). 

Negli ambienti universitari e della ricerca i gender studies e gli studi decoloniali non solo non vengono promossi e finanziati, ma spesso vengono boicottati o relegati come questioni di scarsa rilevanza. Nelle scuole l’educazione sessuale e all’affettività non trovano spazio o vengono affidati a docentə senza una formazione e una preparazione adeguate. 

Rispetto alle questioni dell’inclusività e dell’autodeterminazione, la riflessione si è concentrata da una parte su quelle che sono le carenze e le responsabilità del sistema scuola (l’utilizzo delle carriere alias e di un linguaggio inclusivo; la valorizzazione delle differenze e la lotta contro ogni forma di discriminazione, solo per fare alcuni esempi), dall’altra su quel che – dal basso – sia possibile costruire e rivendicare all’interno dei contesti in cui studiamo e lavoriamo o veniamo coinvoltə come attivistə. 

Femminismo e transfemminismo sono infatti pratiche e visioni del mondo in grado di ribaltare completamente l’approccio escludente in chiave classista/razzista/di genere/abilista della scuola e dell’università di oggi, perché mettono al centro la persona, le relazioni, i corpi, una visione antiautoritaria della società e perché grazie alle pratiche che hanno costruito (il partire da sé, l’autocoscienza, l’abbattimento di gerarchie e ruoli precostituiti) possono creare comunità che siano in grado di dare forma ad un cambiamento radicale del contesto scolastico e formativo. 

Infine il problema della formazione del “merito” per cui questo governo è arrivato a togliere il reddito di cittadinanza a chi non completa l’obbligo formativo, favorendo un’emarginazione sociale radicale e punendo la povertà come una colpa individuale. 

Nella scuola del “merito” si promuove la militarizzazione dei saperi in quasi ogni grado di scuola, con seminari tenuti dalle fdo, progetti di PCTO in caserme/basi militari e progetti di ricerca universitari finanziati e utilizzati da aziende ecocide e guerrafondaie. Senza – chiaramente – lasciare spazio a qualsiasi altro tipo di alternativa che porti una visione antiautoritaria della società e che non rientri nella triade merito-vergogna-disciplinamento del Ministero Valditara.

Nella scuola del “merito” sta scomparendo la possibilità di discussione e critica all’interno degli organi collegiali, il potere dei dirigenti è sempre più assoluto e con l’introduzione dell’autonomia differenziata si preannuncia un attacco definitivo al diritto all’istruzione e ad un contratto nazionale per chi lavora nel mondo della scuola. Questa autonomia sarà infatti causa di differenze regionali gravissime sulle base delle possibilità di spesa dei territori, del contratto di lavoro e del salario del personale docente, della mobilità, producendo importanti disparità nell’offerta formativa per lə studentə.

Sentiamo forte come femministe e transfemministe la responsabilità non soltanto di aprire un dibattito sulla formazione, ma di direzionarlo attraverso una certa postura e di renderlo davvero collettivo, costruito dal basso, attraverso le voci e i bisogni di chi fa formazione e vive la scuola ogni giorno. 

In quest’ottica uno degli obiettivi che il tavolo si è dato è quello di riaggiornare la parte relativa all’educazione e alla formazione all’interno del Piano femminista di Non una di meno. 

Il tema scuola e formazione, infatti, non può e non deve interessare soltanto chi quei contesti li vive e attraversa quotidianamente, ma deve diventare questione di tuttə perché riguarda il futuro e la possibilità di un mondo rivoluzionato per tuttə. 

Partire da scuole e università, dai centri alle periferie, significa per noi dare libero spazio ad un discorso critico che possa promuovere un orizzonte alternativo.

A fronte delle analisi e delle esperienze condivise, abbiamo sentito forte la necessità di fare rete, sia come attivistə che come studentə e lavoratorə della scuola e dell’università. Se a livello territoriale sono molti i tavoli scuola e formazione tutt’ora attivi, riteniamo importante riattivare questo tavolo e renderlo permanente a livello nazionale, attraverso la creazione di una mailing list e un drive condiviso.

In vista del prossimo sciopero femminista e transfemminista globale dell’8 marzo, pensiamo sia utile riscrivere il Vademecum dello sciopero per docentə, studentə e personale Ata e produrre insieme un appello specifico per il mondo della scuola e dell’università. Rinnoviamo inoltre la nostra volontà di attivarci all’interno delle scuole attraverso la pratica dei laboratori e delle assemblee, in vista dello sciopero e non solo, ripromettendoci di immaginare percorsi condivisi anche all’interno della scuola primaria e dell’infanzia. 

Per rilanciare lo sciopero di scuola e università accogliamo la proposta del nodo romano di Non una di meno di organizzare una striscionata fuori da tutti gli istituti il 6 marzo e di indire un sit in il 1 marzo davanti alle sedi del Miur e degli uffici scolastici territoriali. 

Inoltre, in un’ottica di connessione con altre soggettività, gruppi e reti, parteciperemo alla giornata del 17 maggio contro l’omolesbobiatransfobia indetta da Stati Genderali e alla data del 31 marzo per il transgender visibility day. 

Riconosciamo nell’istituzione scolastica un luogo di riproduzione di quel sistema violento che ogni giorno ci schiaccia e invisibilizza, ed è proprio in questa direzione che vogliamo agire. Da una parte fare rete tra chi di noi lavora e studia in questi contesti, dall’altra come attivistə portare i nostri laboratori e le pratiche femministe, transfemministe, dell’educazione non formale dentro le scuole, e infine sostenere lə studentə nelle loro lotte e rivendicazioni.

Il tavolo scuola e formazione di Non una di meno vuole essere quindi uno spazio in cui continuare a porsi domande e a trovare risposte insieme, condividere pratiche e materiali didattici, intrecciarsi con soggetti altri (come il tavolo educazione di Stati Genderali) e costruire una rete di resistemza agli attacchi che da decenni subisce il mondo della scuola di ogni ordine e grado e dell’università. 

Vogliamo un sapere libero dalla violenza patriarcale, dal razzismo, dall’abilismo e dal classismo. 

Investimenti e risorse per strutture e personale. 

Educazione sessuale e affettiva in tutte le scuole e che sia affidata alle reti femministe e transfemministe. 

La revisione completa dei programmi didattici ministeriali con l’inserimento degli studi decoloniali e di genere.

L’abolizione immediata del PCTO. 

Vogliamo una scuola laica, pubblica e gratuita che sia davvero per tuttə.  

Contro l’autonomia differenziata e la scuola del merito

Per combattere la dispersione scolastica, le disuguaglianze e le povertà educative

Vogliamo una scuola femminista e transfemminista! 

CONTRO LA SCUOLA ABILISTA SCIOPERO TRASNFEMMINISTA

CONTRO MERITO E PATRIARCATO, SCIOPERO INDISCIPLINATO!

INDICAZIONI PER PARTECIPARE – EVENTO PASSATO

Aula 17

TRACCIA

Nella fase che stiamo attraversando il dibattito sul mondo della scuola, dell’università e della formazione è completamente schiacciato su una dimensione meritocratica e imprenditoriale, con un approccio autoritario e mortificante rivolto a chi in quei contesti studia, lavora e fa ricerca. Il fatto che il primo gesto politico del nuovo Ministro sia stato proprio quello di rinominare il ministero “del merito”, dopo che già da tempo l’accezione “pubblica istruzione” era stata persa, la dice lunga sui tempi difficili che stiamo vivendo. 

Come femministe e transfemministe rivendichiamo i luoghi di formazione come spazi per poter creare nella pratica un mondo altro che ponga al centro la persona e i suoi bisogni, e per riappropriarci di quei saperi che storicamente ci sono stati tolti. Sono quindi per noi le scuole e le università i luoghi primari di contrasto alla violenza patriarcale e di trasformazione radicale della società; istituzioni che invece – per come sono oggi – sono spazi costantemente sotto attacco e primi veicoli di riproduzione della violenza. L’intera conformazione dei luoghi della formazione è funzionale a questa riproduzione, alla separazione e all’individualizzazione: dalla struttura degli ambienti (edifici/aule) alla struttura e alle pratiche della formazione (lezioni frontali/valutazione).

Solo per citare un esempio, la militarizzazione dei saperi presente in quasi ogni grado di scuola, con seminari tenuti dalle fdo, progetti di PCTO in caserme/basi militari e i progetti di ricerca universitari finanziati e utilizzati da aziende ecocide e guerrafondaie. Senza – chiaramente – lasciare spazio a qualsiasi altro tipo di alternativa che porti una visione antiautoritaria della società e che non rientri nella triade merito-vergogna-disciplinamento del Ministero Valditara.

Da decenni assistiamo a tagli alle spese, all’edilizia scolastica, al personale e a nessun investimento reale nel contesto della formazione. Migliaia di lavoratorə precariə ogni anno combattono con un sistema di reclutamento iniquo e umiliante. I problemi strutturali sono talmente urgenti che anche il dibattito sindacale è spesso compresso su carenze e inefficienze del sistema-scuola, senza spazio di confronto su didattica, apprendimento, metodologie.

Il corpo studentesco non ha voce e spazio di parola. I corpi, le relazioni, i sentimenti, la sessualità, gli amori, sono ciò che viene considerato sempre e comunque “fuori tema”, marginale. Ottenere una carriera alias e l’utilizzo di un linguaggio inclusivo sembrano miraggi impossibili. Non c’è spazio per l’educazione sessuale e affettiva. 

La scuola continua a separare le emozioni e il benessere delle persone dagli aspetti cognitivi e dell’apprendimento.

Non si parla di dispersione scolastica e disuguaglianze. I dati del Sole 24 ore ci dicono che l’Italia è prima in Europa per numero di giovani senza istruzione e occupazione.

Questo governo è arrivato a togliere il reddito di cittadinanza a chi non completa l’obbligo formativo, favorendo un’emarginazione sociale radicale, punendo la povertà come una colpa individuale. Inoltre, cosa significa obbligo formativo? Sembra che sia una responsabilità della persona o della famiglia, ma è anche invece e soprattutto una responsabilità dello stato, che deve fornire la possibilità a tuttə di avere un diploma di istruzione superiore.

Sentiamo forte come femministe e transfemministe la responsabilità non soltanto di aprire un dibattito sulla formazione, ma di direzionarlo attraverso una certa postura e di renderlo davvero collettivo, costruito dal basso, attraverso le voci e i bisogni di chi fa formazione e vive la scuola ogni giorno. Il tema scuola e formazione, infatti, non può e non deve interessare soltanto chi quei contesti li vive e attraversa quotidianamente, ma deve diventare questione di tuttə perché riguarda il futuro e la possibilità di un mondo rivoluzionato per tuttə. 

Femminismo e transfemminismo sono pratiche e visioni del mondo in grado di ribaltare completamente l’approccio escludente in chiave classista/razzista/di genere/abilista della scuola e dell’università di oggi, perché mettono al centro la persona, le relazioni, i corpi, una visione antiautoritaria della società e perché grazie alle pratiche che hanno costruito (il partire da sé, l’autocoscienza, l’abbattimento di gerarchie e ruoli precostituiti) possono creare comunità che siano in grado di dare forma ad un cambiamento radicale del contesto scolastico e formativo. 

Con queste riflessioni vogliamo chiederci: quali percorsi si possono costruire dal basso per portare e condividere all’interno delle scuole pratiche, contenuti, strumenti del femminismo e transfemminismo? Come portare il concetto di merito all’interno del dibattito scolastico in una chiave critica? Come supportare le lotte studentesche? Come costruire relazioni con lə docentə e il personale nei luoghi della formazione di ogni ordine e grado, uscendo dalla retorica della “responsabilità trasformativa dellə giovani”? Come immaginare percorsi di lotta che vedano il protagonismo dellə bambinə?

Come sostenere lə studentə che si autorganizzano per costruire in modo radicale spazi di confronto e per rivendicare nelle scuole la centralità delle pratiche femministe e transfemministe?  Pensiamo al fatto sempre più frequente che Non una di meno venga chiamata a condividere laboratori in autogestione/occupazione o che tematiche di genere siano inserite nelle rivendicazioni politiche di queste ultime. Come valorizzare questa tendenza?

Come portare avanti le nostre rivendicazioni rispetto all’educazione sessuale e all’affettività, così come ai temi della salute e dell’ambiente nelle scuole? E per quanto riguarda questo tipo di formazione, come pretendere che venga affidata alle reti e ai movimenti femministi, ecotransfemministi ed ecologisti? 

Quali rivendicazioni inserire all’interno dello sciopero femminista delll’8 marzo? Come agire all’interno delle scuole e delle università in avvicinamento allo sciopero? Che tipo di campagne o iniziative dopo queste riflessioni? Quali connessioni si possono intrecciare con lo sciopero del clima del 3 marzo? 

4-5 feb 23 assemblea nazionale nudm

programma

Sᴀʙᴀᴛᴏ 4 ꜰᴇʙʙʀᴀɪᴏ

✊🏼 𝐡 𝟏𝟎.𝟑𝟎 𝐚𝐬𝐬𝐞𝐦𝐛𝐥𝐞𝐚 𝐩𝐥𝐞𝐧𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐫𝐨𝐝𝐮𝐭𝐭𝐢𝐯𝐚

🍲 𝐏𝐚𝐮𝐬𝐚 𝐩𝐫𝐚𝐧𝐳𝐨 (pasti vegan a prezzi popolari)

➡ 𝐀 𝐬𝐞𝐠𝐮𝐢𝐫𝐞 𝐭𝐚𝐯𝐨𝐥𝐢 𝐭𝐞𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐢 (𝐢𝐧 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨𝐫𝐚𝐧𝐞𝐚)

🟣 Tavolo violenza e percorsi di fuoriuscita

🟣 Tavolo salute e aborto

🟣 Tavolo guerra/guerre

🟣 Tavolo ecologia politica

🟣 Tavolo scuola/educazione/formazione

🟣 Tavolo razzismo e confini

🟣 Tavolo lavoro/welfare/reddito di autodeterminazione

Dᴏᴍᴇɴɪᴄᴀ 5 ꜰᴇʙʙʀᴀɪᴏ

𝐡 𝟏𝟎 𝐚𝐬𝐬𝐞𝐦𝐛𝐥𝐞𝐚 𝐩𝐥𝐞𝐧𝐚𝐫𝐢𝐚

Restituzione dei tavoli

Connessioni e processo verso lo sciopero femminista e transfemminista dell’8 Marzo

❤️‍🔥 Con AMORE E RABBIA ❤️‍🔥