
REPORT



CORNICE DI ANALISI
All’interno del tavolo Ecologia politica ci siamo confrontatə a partire dal riconoscimento della necessità di connettere maggiormente le lotte femministe e transfemministe con quelle ecologiste. Riconosciamo infatti nella violenza che devasta i territori, i nostri corpi e i corpi animali la stessa matrice, frutto del modello capitalista, antropocentrico e patriarcale in cui viviamo, che riduce tutto a risorsa o merce da sfruttare. Pensiamo quindi sia fondamentale trovare punti di contatto tra queste lotte, insieme a strumenti e linguaggi che rendano visibile come la violenza sistemica contro cui combattiamo sia la stessa.
Riconosciamo inoltre che non ci può essere giustizia ambientale senza giustizia sociale: sappiamo che la crisi climatica non colpisce tuttə allo stesso modo, ma produce effetti differenziati sulla base delle linee di classe, razza, genere e specie. Per questo riteniamo fondamentale guardare alle esperienze MAPA (Most Affected People and Areas), contrastando la retorica di colpevolizzazione delle persone del Sud globale e decolonizzando i nostri linguaggi e le nostre pratiche, mettendo a critica le nuove forme di colonialismo prodotte dall’emergenza climatica. Non può esserci uscita dalla crisi climatica all’interno dell’attuale modello economico e sociale: la transizione ecologica guidata dall’alto si traduce in nuove occasioni di profitto e nell’apertura di nuovi mercati per il capitale, che è per sua natura insostenibile e predatorio. La crisi climatica è già qui e sappiamo che quello che stiamo vivendo può essere solo un assaggio del futuro che potrebbe realizzarsi; per questo rifiutiamo l’attuale gestione emergenziale che scarica ancora una volta i costi di questa crisi verso il basso, riconoscendo invece la necessità di una prospettiva di lungo periodo che sappia mettere radicalmente in discussione il funzionamento di questo sistema.
Se già la pandemia da Covid-19 (le cui cause sono profondamente legate alla crisi climatica, ad una globalizzazione tossica e allo sfruttamento delle vite animali) ci ha mostrato la fragilità delle strutture che permettono la nostra vita materiale e delle catene di approvvigionamento globale, la fase politica, economica e sociale che stiamo attraversando – segnata da conflitti e tensioni crescenti – ci pone ulteriori sfide ma anche spazi e terreni di attivazione. Le guerre non sono solo la massima espressione della violenza patriarcale, ma anche un modo per il capitale per tenersi in vita, e determinano uno spostamento dei mercati e delle catene di approvvigionamento energetico e agroalimentare. Le scelte geo- biopolitiche che si stanno facendo e si faranno sul tema dell’energia in seguito al conflitto tra Russia e Ucraina saranno determinanti per il futuro e hanno già conseguenze importanti a livello globale.
ANTISPECISMO E CRESCITA DELLA RETE
Lo spazio del tavolo è stato anche occasione per affrontare il tema dell’antispecismo, sia da un punto di vista politico e analitico, sia nei termini dei metodi con cui poter rendere questa riflessione patrimonio della rete tutta, colmando lo scarto che fino a questo momento ha caratterizzato questa discussione. La lente dell’intersezionalità ci porta a guardare ai nostri vari posizionamenti in quanto corpi oppressi ma anche portatori di privilegi in quanto oppressori; riconosciamo perciò nel modello antropocentrico dominante un paradigma da rifiutare e mettere in crisi, attraverso scelte e pratiche che non siano solo individuali ma collettive e orientate anche ad una dimensione di solidarietà internazionale.
Sono emerse con forza la necessità e il desiderio di proseguire insieme il dibattito su questi temi, senza il timore di poter anche confliggere ma dialogando in maniera interrogativa, con fiducia nel processo collettivo che stiamo costruendo. Vogliamo farlo costruendo ulteriori momenti dedicati in cui formarci collettivamente su questo tema fondamentale, che non si limitino allo spazio delle assemblee nazionali e che possano coinvolgere anche le persone della rete che storicamente non hanno partecipato a questo tavolo, superando polarizzazioni e cristallizzazioni con gli strumenti di attenzione e cura che il transfemminismo ci ha insegnato.
RELAZIONI E PERCORSI VERSO E OLTRE GLI SCIOPERI DEL 3 E DELL’8 MARZO
Nella seconda parte del tavolo ci siamo confrontatə su come tradurre in pratiche visibili e concrete l’analisi delle relazioni tra le istanze del movimento femminista e transfemminista e quelli ecologisti, verso e oltre le due giornate di sciopero del 3 e dell’8 marzo. Pensiamo infatti che questi due momenti possano rappresentare un’occasione fondamentale per mettere in luce gli effetti concreti e materiali che la crisi climatica ha già sulle nostre vite, anche alle nostre latitudini e sui corpi tutti.
Diversi interventi hanno riportato come nei mesi scorsi su molti territori si siano già attivate relazioni tra nodi di Non Una di Meno e movimenti ecologisti, e ci siano percorsi avviati per costruire i due scioperi del 3 e dell’8. Siamo consapevoli del fatto che quest’anno questa relazione è stata in parte anche dettata dalla contingenza delle due date di sciopero ravvicinate e dalla necessità di non sovrapporre e disperdere le coperture sindacali tra le due giornate, ma condividiamo per il futuro il desiderio di andare oltre il semplice sostegno o contaminazione reciproca, ragionando invece di un piano di mobilitazione comune sul lungo periodo. Pensiamo sia fondamentale riuscire a comunicare in maniera chiara e comprensibile il processo comune verso i due scioperi, organizzando anche un momento di confronto nazionale in cui condividere e mettere a sistema le relazioni e i percorsi che si stanno costruendo a livello territoriale verso le due date.
Abbiamo riconosciuto nella pratica femminista del partire da sé uno strumento importante, che ci porti a interrogarci sulle nostre responsabilità in quanto persone che vivono nel nord globale sapendo al tempo stesso puntare il dito e organizzare le azioni collettive contro i veri responsabili della crisi climatica, delle occupazioni e colonizzazioni di comunità, popoli e territori. Se è vero che le nostre scelte sono importanti, rifiutiamo gli approcci colpevolizzanti incentrati sui comportamenti e le responsabilità individuali, perché riconosciamo che il problema è globale e sta nel modello di produzione che regola le nostre economie.
Negli ultimi anni lo sciopero si è affermato come pratica fondamentale e comune ai movimenti femministi ed ecologisti. Per questo verso la settimana di mobilitazione ecotransfemminista del 3-8 marzo vogliamo tornare a parlare di sciopero dei e dai consumi, inteso come strumento per spostare il focus dal consumo individuale alla messa in discussione del sistema di produzione, usando la sottrazione dal consumo e dagli acquisti come pratica collettiva per mettere in luce come funzionano i processi produttivi, indirizzando le azioni verso luoghi paradigmatici come la filiera del fast fashion o le catene di fast food. Vogliamo puntare il dito contro le multinazionali che continuano a fare extraprofitti dallo scenario di crisi e di guerra. Siamo consapevoli del fatto che portare queste pratiche verso una dimensione collettiva passi anche dalla necessità di iniziare a costruire delle alternative nei nostri spazi e nei nostri territori, producendo immaginari nuovi ma accessibili e fruibili da tuttə, evitando la proposizione di modelli di consumo che riproducono linee di privilegio.
Verso e oltre gli scioperi del 3 e dell’8 marzo vogliamo inoltre organizzare campagne e azioni che mostrino gli effetti materiali che la crisi climatica ha già sulle nostre vite – dalla siccità, all’inquinamento, alla crisi energetica e l’inflazione – e su quanto questo influisca non solo sulla nostra salute ma anche sul nostro benessere fisico e psicologico, oltre che sulla vita degli altri abitanti di questo pianeta.
Sappiamo che la possibilità di muoversi e fruire dello spazio urbano non è uguale per tutti i corpi e per questo vogliamo mettere al centro la questione della vivibilità delle nostre città, riprendendo la campagna organizzata tempo fa da Non Una di Meno – Alessandria su cosa significhino per noi delle città per la vita, ribaltando la retorica dei gruppi antiabortisti che con crescente aggressività attacca la possibilità di decidere sui nostri corpi. Lanciamo quindi l’invito a organizzare passeggiate transfemministe per riappropriarci dello spazio urbano e campagne che mettano al centro l’idea di città che vogliamo: città dove l’accesso ai servizi sia garantito per tuttə – sottolineando in particolare con campagne ad hoc la necessità di un trasporto pubblico diffuso e gratuito come strumento per combattere l’inquinamento; città in cui non ci si ammala per l’aria che respiriamo e in cui non si muore per le temperature eccessive dovute ad una sempre maggior antropizzazione dei territori; dove essere liberə di muoverci e di vivere!
INDICAZIONI PER PARTECIPARE
Aula 14
TRACCIA
In questo tavolo vogliamo proseguire la riflessione iniziata durante l’assemblea nazionale di Reggio Emilia su come costruire una prospettiva di analisi femminista e transfemminista sul tema delle ecologie politiche. Crediamo sia importante non disperdere l’elaborazione e gli interrogativi condivisi fin qui e le relazioni che si sono prodotte e si stanno producendo sui singoli territori tra Non Una di Meno e movimenti ecologisti; ma da qui vogliamo ripartire per avanzare con questa riflessione e renderla sempre più patrimonio collettivo della rete tutta, consapevoli che parte del lavoro debba anche essere indirizzato a rendere comunicabile e visibile il discorso che stiamo costruendo.
I PARTE
Sappiamo che la crisi climatica produce conseguenze sulla vita di tuttə, ma in misure profondamente differenti: come portare al centro del discorso pubblico la consapevolezza degli effetti differenziati della crisi climatica? Che ruolo può avere la pratica transfemminista del “partire da sé” in questo processo e nella costruzione di un immaginario ecotransfemminista condiviso? L’intersezionalità ci porta a riflettere sui vari posizionamenti in quanto oppressə e sui privilegi in quanto oppressorə: come possiamo mettere in crisi l’antropocentrismo dominante? Come prendiamo parola sulle cause sistemiche della crisi climatica senza parlare per altrə e adottando un approccio realmente decoloniale e antirazzista?
II PARTE
Dalla scorsa assemblea nazionale come sono evolute le relazioni tra i movimenti ecologisti e Non una di meno nei diversi territori? Come creiamo / continuiamo un percorso di lotta che sappia unire la lotta transfemminista a quella per la giustizia climatica? Quali rivendicazioni e azioni possono contrastare questi fenomeni?
Dobbiamo ragionare anche su una prospettiva di più lungo periodo: la lotta climatica ha spesso coinvolto e mobilitato le generazioni più giovani, mentre il movimento transfemminista è riuscito a coinvolgere età diverse, da persone giovanissime a lavoratrici a anziane. In quale modo il movimento, le pratiche e i saperi transfemministi possono contribuire ad unire le generazioni e a rendere la lotta per la giustizia climatica una lotta più intergenerazionale?
Gli scioperi del 3 e 8 marzo possono essere un primo punto di ricaduta di questo percorso; quindi, come costruiamo nella pratica una settimana di mobilitazione ecotransfemminista? Se individuiamo nella questione della riproduzione sociale un terreno fondamentale su cui si intrecciano i nessi fra le lotte ambientaliste e transfemministe, quali pratiche di sciopero e quali campagne possiamo costruire verso e oltre queste due giornate per rendere visibile questa connessione? Quali mobilitazioni e istanze (esistenti o da costruire) ci permettono di rendere visibili sui nostri territori le cause sistemiche della crisi climatica e di costruire un terreno di attivazione collettiva, contrastando la retorica della responsabilità individuale o delle finte soluzioni improntate al green-washing?
III PARTE
La riflessione sui legami che intercorrono tra la lotta per la difesa dell’ambiente e le rivendicazioni del movimento transfemminista può beneficiare di uno slancio nuovo se considerata in un’ottica globale. Negli ultimi mesi i movimenti ecologisti hanno messo l’accento sulle ripercussioni, dettate dalle nostre scelte individuali di consumo e quelle politiche, in termini di devastazioni ambientali nelle nazioni del Sud del Mondo. Le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina si riflettono da mesi anche alle nostre latitudini attraverso l’inflazione, il carovita, la propaganda guerrafondaia e la minaccia di un ampliamento del conflitto su scala più ampia, e stanno spingendo i governi europei – in primis quello italiano – a cercare nuove fonti di approvvigionamento energetico stringendo accordi con paesi retti da sistemi di governo non democratici, dove gran parte dei diritti per le minoranze e le donne non sono garantiti. La lotta per il miglioramento del clima può diventare uno strumento per sostenere le proteste di chi chiede maggior democrazia nei Paesi “produttori” del Medio Oriente, a maggior ragione in stati come l’Iran, tra i più importanti produttori di gas e petrolio, dove il regime perseguita chi chiede il riconoscimento di quei diritti alla base del movimento transfemminista? Opporsi alla guerra oggi significa opporsi alla massima espressione della violenza capitalista e patriarcale; in quale modo le pratiche femministe e quelle ecologiste possono intrecciarsi per costruire un’opposizione alle guerre efficace, in un’ottica di giustizia climatica?