Report GRUPPO LAVORO

*In copertina uno dei cloud elaborati con le parole chiave del gruppo tematico

1 – Come analizziamo il lavoro, produttivo e riproduttivo, e le condizioni economiche nell’attuale fase politica? Come si è riarticolata la divisione sessuale del lavoro? Quali lotte si sono innescate sul terreno della riproduzione sociale? 

Gli interventi che hanno aperto il tavolo hanno fin da subito segnalato la complessità della situazione e la necessità e l’urgenza dello sciopero.

Sex worker, migranti, lavoratrici del settore multiservizi, della scuola, degli ospedali, dei magazzini, autonome e precarie hanno sottolineato in che modo la divisione sessuale del lavoro, la criminalizzazione del lavoro sessuale, il razzismo hanno determinato in modo diverso e profondo gli effetti della pandemia. La pandemia ha evidenziato la centralità della riproduzione sociale e mostrato in tutta la sua brutalità che il modello di produzione neoliberale entra in contraddizione con la riproduzione della vita. 

Crediamo sia essenziale riconoscere come le linee di oppressione e sfruttamento siano molteplici e diverse fra loro ma tutte intersecate. Le donne non hanno mai smesso di lavorare sia dentro che fuori casa. In questi mesi le case sono diventate ancora di più un luogo di lavoro, non soltanto di quello domestico non retribuito ma anche di quello salariato, mentre il capitale taglia i costi, aumenta la precarietà e intensifica lo sfruttamento.

Lo smartworking, che va letto nella sua ambivalente complessità, si è rivelato nella maggior parte dei casi come una forma di sfruttamento intensificato, travalicando gli orari, scaricando i costi su chi lavora e impedendo forme di organizzazione. Le lavoratrici che hanno continuato a lavorare perché “essenziali” hanno dovuto accettare turni di lavoro folli che hanno ristretto ai minimi termini gli spazi di vita e di libertà.

Il sex work non è riconosciuto come lavoro. Lə sex workers sono invisibilizzatə, criminalizzatə e stigmatizzatə, senza alcun tipo di tutela nè sindacalizzazione, ed hanno dovuto affrontare la pandemia e il lockdown da solə. Lə migranti che da sempre fanno i conti con il razzismo istituzionale e la lotta quotidiana per un permesso di soggiorno che anche durante la crisi pandemica continua ad essere vincolato ad un lavoro che non c’è o è sempre più precario, si sono trovatə ancora una volta a dover decidere fra l’essere sfruttatə o clandestinə. Lə  precariə si sono trovatə improvvisamente a casa a dover pagare di tasca loro le utenze, a dover accettare i ritardi dei pagamenti, le ore extra e le condizioni di lavoro insostenibili, perché “se non lo si accetta semplicemente ci sarà qualcuno che lo accetterà al tuo posto”. 

Tuttavia, in questi mesi, lo sfruttamento non è stato accettato passivamente. Dall’inizio della pandemia, abbiamo assistito a mobilitazioni di lavoratrici e lavoratorə della sanità, del personale scolastico e dellə studenti, della pubblica amministrazione e delle politiche attive. Sono stati innumerevoli gli scioperi nel settore della logistica, mentre a novembre le lavoratrici delle multiservizi (un settore fortemente femminilizzato e per lo più composto da donne migranti) hanno scioperato per il rinnovo del contratto nazionale rifiutando le condizioni imposte e attaccando direttamente il ruolo di Confindustria. Da ricordare anche le lavoratrici della Yoox che lottano dal 25 novembre denunciando il razzismo e il maschilismo delle loro condizioni di lavoro. 

Nonostante continuamente invisibilizzatə lə sex worker si sono autorganizzate attraverso pratiche di mutuo aiuto; così come ci sono state anche lotte collettive contro gli affitti esorbitanti e il diritto all’abitare da parte di chi in un momento in cui si era costretti a stare a casa lottavano per la possibilità stessa di averne una.  

   2- Come attualizziamo le rivendicazioni che abbiamo portato avanti in questi anni (reddito, salario e permesso di soggiorno europeo)? Quali pratiche per rispondere alla disciplina dei mercati finanziari sui nostri corpi, alla luce di una lettura femminista del Recovery Plan e del debito? Come riportare la riproduzione al centro delle nostre rivendicazioni? 

Sono 444.000 le persone che hanno perso il lavoro nell’ultimo anno di cui il 70% circa sono donne. Solo tra novembre e dicembre 2020, di 101 mila occupatx in meno, 99 mila sono di donne. Lo sblocco dei licenziamenti previsto a marzo peggiorerà ulteriormente i livelli di occupazione e di attività. Tantissime nel tentativo di conciliare lavoro produttivo e riproduttivo hanno dovuto lasciare il lavoro salariato per prendersi cura di figli o genitori, in una continua riproposizione di ruoli predefiniti che vengono puntualmente riaffermati dalle stesse misure proposte per l’uscita dalla crisi. La discussione e le testimonianze riportate all’interno del tavolo hanno dimostrato ancora una volta che il Recovery Plan e il Family Act sono misure fortemente neoliberali, patriarcali e razziste. 

Nel Recovery Plan, ipocritamente inondato di discorsi sulla parità di genere, l’inclusione sociale delle donne passa essenzialmente attraverso sgravi fiscali e sussidi alle imprese e la formula per la risoluzione del problema dell’occupazione femminile è l’empowerment e l’autoimprenditorialità (che nasconde una realtà di precarietà, falsi contratti autonomi, partite iva e appalti a cooperative) In generale la condizione delle donne e delle persone lgbt*qia+ appaiono come un capitolo a parte invece che qualcosa di costitutivo della società stessa.

Nel Family Act, quando si parla di “conciliazione” si dà per scontato che il salario accessorio è quello della donna, si divide l’assegno unico per i figli fra genitori come se tra loro non esistessero condizioni asimmetriche e inique. Quando si parla di “famiglia” sappiamo che si parla di qualcosa che esclude le soggettività dissidenti e le donne che non accettano di essere schiacciate in ruoli e generi in cui non si riconoscono. Queste misure escludono totalmente le donne migranti: la loro fruizione è possibile solo se in possesso di un permesso di lungo periodo o di un contratto di lavoro di due anni. 

Noi non possiamo accettare queste misure: ancora una volta chiedono a noi di pagare il prezzo più grande. Sappiamo che ogni taglio al welfare va nella direzione di colpire chi è più debole. Mai come ora è necessaria una redistribuzione della ricchezza. Sappiamo che la condizione di autonomia economica è una delle basi imprescindibili non solo per l’autodeterminazione, ma anche per la stessa fuoriuscita dalla violenza. 

Abbiamo rivendicato reddito di autodeterminazione per tuttə e ci troviamo reddito di libertà. Bisogna registrare che la nostra lotta ha avuto un peso, ma non è sufficiente: è necessario legare la nostra rivendicazione ancora più saldamente a un presente in cui la perdita del lavoro e la povertà mostrano che le condizioni per la fuoriuscita dalla violenza strutturale sono sempre più rigide. Il significato di quella «autodeterminazione» deve essere fatto valere non solo come battaglia per misure più adeguate, ma anche per esprimere il nostro incondizionato rifiuto complessivo ad essere sfruttate da una società che vuole ricostruirsi assoggettandoci agli imperativi patriarcali di famiglia, maternità e divisione sessuale del lavoro. Per questo vogliamo legare la rivendicazione di un reddito di autodeterminazione a quella di un welfare non solo realmente universale, ma che superi il modello familistico. 

Pretendiamo un permesso di soggiorno europeo svincolato da famiglia e lavoro e l’abolizione delle leggi Bossi-Fini e Minniti-Orlando. Queste rivendicazioni – sostenute anche da movimenti di migranti, femministi e Lgbtqia+ dentro e fuori l’Europa – devono essere al centro del nostro 8 marzo perché riconosciamo che le linee della violenza razzista si intrecciano con quelle della violenza patriarcale. 

   3- Come costruiamo lo sciopero femminista nelle sue diverse declinazioni, superando le difficoltà di accesso ai luoghi di lavoro, di mobilitazione nello spazio pubblico e di organizzazione di forme di astensione e protesta tra le mura domestiche? Quali pratiche di sciopero possiamo inventare/reinventare non solo contro il lavoro riproduttivo non salariato, ma anche contro lo smartworking e tutti quei lavori che hanno subito pesanti conseguenze (freelance, lavoro informale, etc.)? Quali rapporti possiamo tessere con lavoratrici, delegate e sindacaliste? In quali contesti e con quali strumenti? 

Gli interventi al tavolo lavoro hanno ribadito l’urgenza dello sciopero dell’8 marzo e la necessità di tenere al centro della nostra mobilitazione le diverse posizioni, rivendicazioni ed esperienze che sono state riportate durante l’assemblea. 

Per la costruzione dello sciopero è prioritario riattivare i rapporti con i sindacati che in questi anni hanno sempre appoggiato il movimento femminista e transfemminista e sperimentando nuovi canali di comunicazione con delegate sindacali e lavoratrici.Per questo è prioritario inviare il prima possibile la lettera ai sindacati per accelerarne la sua indizione. È stata inoltre proposta una giornata di rilancio dello sciopero di cui è necessario definire una data il prima possibile.

È stata condivisa l’idea di entrare in contatto con i gruppi virtuali di lavoratrici e lavoratorə nati durante la pandemia, oltre che con le lottegià presenti sul territorio, e condurre pratiche di inchiesta militante per entrare in contatto con lavori invisibilizzati e costruire azioni di boicottaggio. È importate continuare ad approfondire la critica femminista del Recovery Plan e attivare campagne di rivendicazione. È necessario connettere le diverse lotte perché solo unite possiamo far sentire la nostra rabbia. Sappiamo che non sarà facile scioperare e proprio nei settori ‘essenziali’ l’astensione dal lavoro sarà ancora più difficile. Per lo smartworking sarà necessario immaginare forme di sciopero visibili.

Non rinunciamo però a costruire lo sciopero femminista e transfemminista in tutte le forme che lo caratterizzano, non rinunciamo a dare forza e amplificare le molte lotte e i molti scioperi che nel presente pandemico si oppongono alle condizioni patriarcali dello sfruttamento, non rinunciamo a costruire momenti di lotta e agitazione capaci di dare visibilità al lungo percorso di costruzione dello sciopero dell’8M e oltre. 

Lo sciopero è stato definito essenziale perché a chi ci ha definite “essenziali” solo per poterci sfruttare rispondiamo che essenziale è la nostra lotta!

REPORT GRUPPO SCUOLA 31 Gennaio 2021

*In copertina uno dei cloud elaborati con le parole chiave del gruppo tematico
  1. ANALISI:

L’8 marzo 2020 le nostre vite sono state stravolte: eravamo alle prese con il primo sciopero transfemminista in pandemia e avevamo lasciato le aule pochi giorni prima senza sapere che, per molto tempo, non ci saremmo tornate e non avremmo potuto incontrare compagne, colleghe, alunne. Il mondo della scuola e della formazione – come pure la rete di Non Una Di Meno – è attraversato da soggettività differenti, con vissuti, bisogni ed esperienze plurali: sentiamo la necessità, a partire dalla nostra autonomia di elaborazione e azione, di costruire coordinamento e alleanze, in vista del prossimo sciopero globale e oltre.

Rifiutiamo il ricatto che contrappone scuola, salute e reddito, rivendicando una scuola in presenza e allo stesso tempo in totale sicurezza, dalle aule ai trasporti. Rifiutiamo l’invisibilizzazione dei corpi, di cui affermiamo la centralità nei processi di formazione. La scuola potrebbe essere un luogo di cura collettiva e di screening, ma per questo servono fondi. Riteniamo di gran lunga insufficienti le risorse previste dal Recovery Fund e rigettiamo le logiche di aziendalizzazione e normalizzazione della DAD che con queste risorse si pretende di consolidare. Vogliamo investimenti in termini di strutture, spazi, dispositivi di prevenzione e nuove assunzioni, non attingendo ai soli fondi pubblici ma prelevando risorse anche dai patrimoni dei più ricchi.

La retorica patriarcale della “missione dell’insegnante” è la foglia di fico che nasconde la mancanza strutturale di tutele per lə insegnanti, lasciatə solə di fronte al virus e alle lacune croniche della formazione. La dilatazione dei tempi di lavoro in DAD porta ad una compenetrazione del lavoro produttivo e riproduttivo pressoché totale. I contratti covid, improvvisati e non pagati da oltre 3 mesi, privi di adeguate tutele contrattuali, segnano una nuova frontiera della precarietà estrema che colpisce le diverse componenti della scuola (insegnanti, educatrici e educatorə, collaboratrici e collaboratorə ATA, operatrici e operatorə della sanificazione).. “Sacrificio” è diventata la parola d’ordine ministeriale: sacrificio dellə insegnanti lasciatə allo sbaraglio e dellə studentə più vulnerabili, senza alcuna attenzione alla disabilità o a qualsiasi difficoltà individuale e famigliare. La colpevolizzazione dellə singolə è l’escamotage con cui le istituzioni trovano un capro espiatorio in caso di contagio.

Il mondo della formazione è per eccellenza luogo di riproduzione sociale e per questo è per noi territorio strategico di lotta. Le contraddizioni esplose con la pandemia sono il contesto in cui immaginare una riproduzione differente e rivoluzionarla.

La preoccupazione tecnocratica per la valutazione, anteposta alla socializzazione e condivisione egualitaria del sapere e indifferente alle condizioni materiali di vita, riflette l’impostazione competitiva e gerarchica della formazione. Per questo ora più che mai rifiutiamo i sistemi INVALSI nella scuola e ANVUR nell’università, il voto di condotta, l’attuale impostazione degli esami di Stato e avvertiamo il bisogno di una ristrutturazione complessiva del rapporto tra studentə e insegnanti, “a partire da noi”. L’introduzione dell’educazione civica non compensa in alcun modo il nozionismo e l’impostazione patriarcale dei programmi scolastici, nonché la cronica mancanza di educazione sessuale e di strumenti per vivere scuole e università come spazi safe. L’aumento delle violenze offline e online in quarantena si ripercuote anche sullə studentə, ma la scuola ha scelto di abdicare completamente alla sua funzione di socialità e sostegno, delegandola alla famiglia, luogo di replica del sistema patriarcale e, troppo spesso, di violenza misogina e omo-lesbo-bi-transfobica. È necessario ripensare l’istituzione scolastica nel più generale contesto delle battaglie sul welfare, concependo la scuola come laboratorio di pratiche transfemministe di cura comunitaria, prevenzione e contrasto della violenza.

Di fronte alle pesanti limitazioni al diritto di sciopero, promosse con la complicità dei sindacati confederali, sentiamo la necessità di ripensare anche le nostre pratiche di sottrazione e disconnessione dalla produzione e dalla riproduzione, tanto in presenza quanto nella DAD. Questo è l’anno in cui partiremo dalle nostre paure e dai nostri corpi vulnerabili per riprenderci e cambiare la scuola da dentro e da fuori.

  • RIVENDICAZIONI / TERRENI DI LOTTA
  • Pretendiamo fondi e investimenti strutturali per la scuola pubblica. Vogliamo decidere come i fondi vengono spesi.
  • Vogliamo consultori, presidi sanitari e psicologici non medicalizzanti nelle scuole e nelle università, intesi come spazi per la cura ed il benessere.
  • Vogliamo tamponi periodici gratuiti per tuttə, trasporti rinforzati, sicuri e gratuiti.
  • Vogliamo l’abolizione dei sistemi INVALSI e ANVUR, del voto di condotta e della valutazione sommativa, nonché del condizionamento che lə insegnanti di religioni esercitano su di essa. Vogliamo una nuova impostazione per gli esami di Stato, nella direzione del colloquio aperto.
  • Pretendiamo educazione sessuale orientata al piacere, alle differenze e al consenso nei programmi di educazione civica e scolastici.
  • Pretendiamo programmi di formazione per lə  insegnanti.
  • Pretendiamo regolamenti chiari per il contrasto delle molestie nelle scuole e nelle università
  • PRATICHE:
  • Sciopero della valutazione sommativa
  • #OccupyEducazioneCivica e proposta di laboratori, incontri e assemblee nelle scuole orientati all’educazione/autoeducazione al piacere, alle differenze e al consenso e alla prevenzione della violenze di genere e dei generi. Realizzazione di materiale didattico da utilizzare nell’insegnamento trasversale dell’educazione civica
  • Proposta di laboratori e percorsi per la formazione femminista e transfemminista delle insegnanti
  • Sciopero Lezioni “al contrario”: lezioni alternative e transfemministe nelle scuole autogestite e occupate, oppure nello spazio urbano e all’aperto
  • Sostenere le pratiche di sciopero, le occupazioni e le lotte territoriali per la scuola e la formazione
  • Sostenere gli spazi e i progetti transfemministi, soprattutto se sotto attacco, e battersi per moltiplicarli nelle scuole e nelle università
  • Praticare inchiesta e auto-inchiesta, per mappare e connettere le esperienze di chi vive il mondo della formazione e metterci in relazione con le soggettività presenti in esso. Condividere materiali e risultati
  • Dare continuità al gruppo scuola nazionale oltre lo sciopero dell’8 marzo

Report gruppo di Discussione Corpi Ecosistema Giustizia Climatica

*In copertina uno dei cloud elaborati con le parole chiave del gruppo tematico


L’assemblea è stata ricca di spunti preziosi e riflessioni. L’invito è quello di utilizzare il
report di questo gruppo di discussione per continuare le riflessioni all’interno dei
rispettivi collettivi, assemblee e reti che qui si sono espresse, anche in vista della
prossima assemblea nazionale di Non Una di Meno del 6 febbraio e dello sciopero
dell’8M.

C’é stato consenso nel ribadire l’importanza di continuare a dotarci di strumenti e
pratiche femministe e transfemministe per decostruire le dinamiche di potere,
gerarchizzazione, oppressione e dominio patriarcali e per continuare a scrivere e
tracciare la nostra storia collettiva, sovvertendo i binarismi e rilanciando, con
immaginari plurimi, una nuova geografia fucsia degli ecosistemi. Vogliamo continuare ad
intrecciare le nostre lotte, in modo intersezionale, oltre le frontiere, per costruire un
discorso ampio, plurale, articolato, situato e solido verso l’8M e oltre.
Vogliamo rilanciare la natura transnazionale delle nostre lotte, intrecciando le nostre
pratiche, in uno scambio bidirezionale, continuo e dinamico, con le potenti esperienze
del Rojava e del Kurdistan, del Chiapas, delle donne contadine in India, delle donne
migranti, delle mujeres indigenas por el buen vivir, delle nuove proposte di new green
deal femministe che ci arrivano da Black Lives Matters.
Rifiutiamo qualsiasi tentativo di green, pink e rainbow washing dell’attuale crisi
planetaria e del capitalismo predatorio. Questo ci sembra sia un tema fondamentale in
vista del prossimo 8M. Per questo siamo pronte a smantellare l’accaparramento lessicale
del green washing, e siamo pronte per continuare a fare della semantica un ulteriore
spazio di battaglia politica verso lo sciopero, per risignificare le parole e i concetti
chiave, dal basso e a partire dal nostro posizionamento femminista e transfemminista,
mettendo al centro la complessa trama di relazioni che attraversiamo (pandemia e
sindemia, cura, sostenibilità e governance sono alcune di queste parole chiave).

La risignificazione dei concetti chiave ci aiuta a continuare la nostra lotta per il
superamento dei binarismi tutti, che ci stanno stretti e nulla hanno a che fare con la
marea e le sue rivendicazioni, tra cui urbano/rurale, centro/periferia, nord /sud. Oltre i
binarismi ci arriviamo costruendo intersezioni. Tra le intersezioni ci sono orizzonti
aperti, fatti di ibridazione e contaminazione, in grado di valorizzare le vulnerabilità e il
tessuto collettivo. E’ fondamentale ribadire la nostra lettura sistemica e strutturale della
violenza di genere, che si immette nella frattura del binarismo di questa crisi,
emergenziale/strutturale, svelandone le contraddizioni e l’urgenza del suo superamento.
Al contempo vorremmo che questo lavoro non comprometta e non sia a scapito della
nostra capacità di comunicare verso l’esterno in modo chiaro. Vogliamo rimanere
accessibili e in ascolto verso ciò che ci circonda e attraversa.

Anche la nostra lettura dell’attuale crisi ecosistemica è strutturale e vogliamo parlare di
ecosistema parlando anche di welfare, lavoro, salute, frontiere e violenza dei confini, di
accesso territoriale a servizi pubblici. Vogliamo mettere al centro l’impellente bisogno di
trasformare le relazioni ecosistemiche, le relazioni di cura, le relazioni tra specie.
Vogliamo poter accompagnare e visibilizzare il prossimo 8M, chi oggi continua a essere
intrappolatə dai ricatti del capitalismo predatorio e coloniale, attraverso la
precarizzazione delle vite, dei corpi e dei territori. Chi oggi vuole continuare a produrre
cibo sano nella terra dei fuochi. Chi vuole spazi urbani verdi, mobilità sostenibile,
mercati contadini come vera alternativa alla grande filiera agroalimentare dei
supermercati. Vorremmo sostenere e apprendere dal femminismo rurale che rimette al
centro il bisogno di non svincolare la produzione dal consumo, le campagne dalle città,
la scelta tra il lavoro e la salute.

La violenza di genere, dei corpi tutti e del pianeta è spesso sovrapposta. Il suo rovescio
è l’autodeterminazione dei corpi e dei territori tutti. Per raggiungere il rovescio c’è
bisogno di attingere ai saperi collettivi, per generare nuova consapevolezza e reti di
fiducia e solidarietà. E’ importante accoglierci e stare in ascolto per generare spazi di
convergenza fondamentali per una vera processualità dello sciopero e del nostro
percorso come Non Una di Meno.

Non vogliamo dare per scontato nessun posizionamento o prospettiva. Non vogliamo dare
per scontato il punto di arrivo o il punto di partenza. Vogliamo continuare ad
interrogarci e a generare dialettica transfemminista tra le differenze e diversità, ma
vogliamo farlo con “ternura y cariño”. Non vogliamo concentrarci sui temi divisivi che
hanno attraversato e polarizzato le nostre riflessioni negli ultimi anni. Vogliamo
affrontare i temi divisivi, soprattutto in merito all’antispecismo e alle diverse
interpretazioni dell’ecotransfemminismo, a partire da nuovi momenti di autoformazione
laboratoriale in vista dell’8M, ripartendo da quanto scritto collettivamente nel Piano, in
cui abbiamo ribadito l’importanza di andare oltre l’antropocentrismo ed al contempo
esplorando nuovi concetti quali quello relativo al multispecie.

Vogliamo quindi identificare dei concetti chiave che ci permettano la costruzione di
un’agenda comune, nel rispetto delle diversità di analisi, percorsi, lotte e
posizionamenti, che non ci faccia solo concentrare su ciò che divide o ci è sottratto, ma
ci permetta di sinergizzarci generando spazi aperti per il dibattito. Spazi che non ci
omogeneizzano e appiattiscono, ma anzi valorizzano multi-strati di profondità.
Le big Corporation, le monoculture, l’estrattivismo, le agromafie e il bracciantato, le
grandi opere, la grande filiera industriale, gli allevamenti animali, le false promesse dei
green jobs, la finanziarizzazione dei beni comuni, quali l’acqua, l’inquinamento, la
digitalizzazione, il mercato degli OGM, il nucleare e la militarizzazione dei territori che
abitiamo sono solo alcuni dei punti nevralgici emersi nel nostro dibattito. Da qui, come
aggrediamo collettivamente questo modo di produzione in vista del prossimo 8M? Come
reinterpretiamo lo sciopero dei e dai consumi nel cuore di questa crisi pandemica e
sindemica? Come riusciamo ad allacciare il tema del consumo a quello del sistema di
produzione perché le pratiche assumano potenza collettiva? Come facciamo atterrare la
ricchezza di analisi qui espressa verso pratiche di lotta concrete il prossimo 8M, tenendo
conto delle sfide che ci impongono le misure di restrizioni che ci troviamo costrettə a
vivere?

Infine l’importanza fondamentale di un’analisi femminista e transfemminista alle risposte
istituzionali che oggi ancora una volta, nonostante gli effetti devastanti di questa crisi
planetaria, decidono di rimanere sui binari neoliberali e coloniali che accaparrano corpi
e territori con operazioni di green e pink washing feroci, offrendo, tra le altre, un
modello individualizzante e tecnocratico della cura, e cercando di ridisegnare i campi di
potere. L’importanza del dibattito sul nuovo apartheid dei vaccini che si gioca sui corpi
di milioni di persone ha bisogno anch’esso di una nostra forte attenzione, per una salute
territoriale, accessibile e universale allineata a un ecosistema libero da violenza e
oppressioni per tuttə . La nostra lettura del recovery Plan e il suo legame con la PAC e le
politiche europee di Green economy è necessaria per mantenere aperti i nostri terreni di
conflitto politico anche in vista del prossimo 8M.
Rimandiamo al pad del report per una lettura dell’assemblea per macroaree (Analisi
situazione, recovery plan, campagne/sciopero/proposte) e i singoli interventi


https://pad.riseup.net/p/reportcorpiecosistemagiustiziaclimatica

Report Tavolo Salute – 30.01.2021

*In copertina uno dei cloud elaborati con le parole chiave del gruppo tematico

LETTURA E ANALISI:

La situazione pandemica ha evidenziato tutte le criticità di un sistema sanitario che già da molti anni non risponde ai bisogni del benessere collettivo. L’austerity, più che il Covid-19, ha creato la crisi: 37 miliardi tagliati alla sanità pubblica negli ultimi 10 anni; chiuse, nel solo 2019, 194 strutture sanitarie e 413 servizi territoriali (centinaia sono consultori). La gestione aziendalizzata della sanità e la sua privatizzazione, inoltre, creano gerarchie e disuguaglianze, lo smantellamento della medicina del territorio e della prevenzione, una gestione verticistica dei servizi che cancella spazi di democrazia e di condivisione dei saperi. In questo contesto si disconosce che la mancanza di salute non è dovuta solo alla malattia, ma anche a territori sempre più inquinati, a condizioni di lavoro insostenibili e insicure, a mancanza di sostegni psicologici e ad una strutturale violenza di genere e razzista. Assistiamo scontro tra sopravvivenza e profitto, come viene evidenziato anche dalla gestione del piano vaccini.

La pandemia ha prodotto e continua a produrre nuove disuguaglianze. Tra i primi servizi a chiudere ci sono stati i reparti di maternità, i punti nascita e i consultori. La violenza ostetrica è aumentata, tra cesarei imposti in caso di positività al Covid e mancanza di epidurale per destinare gli/le anestesiste ai reparti Covid. Il diritto all’aborto è stato fortemente limitato, con interi ospedali che hanno sospeso il servizio. Lo stesso è avvenuto per le persone trans* che spesso non hanno potuto accedere ai percorsi di transizione e ai farmaci necessari alla terapia ormonale sostitutiva.

Discriminazioni e disuguaglianze sono avvenute anche lungo la linea dell’età. Le persone anziane, fortemente colpite in questa pandemia, scontano la mancanza di servizi pubblici e accessibili che permettano autodeterminazione e autonomia. Le RSA, spesso strutture private, sono istituzioni totali che spesso ledono i diritti degli e delle ospiti e che durante la pandemia sono diventate luoghi chiusi e impermeabili. Inoltre sono luoghi di sfruttamento sul lavoro, tra contratti precari e esternalizzazione dei servizi.

Ugualmente, le strutture psichiatriche, le comunità, i CPT e i CPR si rivelano dei luoghi dove il diritto alla salute non è garantito, ma anzi messo in pericolo. Le rivolte di marzo nelle carceri non hanno trovato risposte e hanno portato le donne ristrette nel carcere di Torino a iniziare uno sciopero della fame per rivendicare il diritto alla salute. A loro va tutta la nostra solidarietà!

Non sottovalutiamo l’aumento delle richieste di aiuto, specialmente nei minori, per l’acuirsi dell’  isolamento sociale insostenibile per il loro crescere.

Nelle strutture socio-sanitarie, l’intensificazione delle ore di lavoro e della precarizzazione del personale, con le assunzioni principalmente a tempo determinato vincolate all’emergenza, è andata di pari passo con la santificazione del personale socio-sanitario che ha pagato con centinaia di morti e migliaia di contagiati la quasi totale mancanza di sicurezza, mentre si è scelto politicamente di non fare nessun investimento di lungo periodo per rispondere alla ormai cronica mancanza di personale nei servizi territoriali e di base. Inoltre il Covid ha colpito tutti i luoghi di lavoro considerati essenziali, e spesso femminilizzati e quindi maggiormente colpiti da precarietà, bassi salari e lavoro nero, in cui agli alti tassi di contagio non sono seguite forme di tutela e in cui si è assistito a forme di mobbing per obbligare le persone a continuare a lavorare anche senza sicurezza.

A questa emergenza si somma la violenza strutturale che attraversa anche i luoghi della salute e che si misura con lo scontro sulle nuove linee guida dell’AIFA sulla RU486 e sulle terapie ormonali per la transizione; passa dalla patologizzazione dell’intersessualità, a quella delle persone trans* e non binarie che devono rispondere a standard ormonali binari e a percorsi di psichiatrizzazione – e alla mancanza di tutele per rifugiati/e LGBTQIA+. Ma la violenza sono anche le carenze di formazione del personale sanitario e degli studenti universitari di medicina e lauree brevi, su molte patologie ginecologiche (come la vulvodinia, l’endometriosi e la fibromialgia) che spesso non sono riconosciute dal servizio sanitario nazionale, rendendo difficile non solo la diagnosi, ma anche la cura, perpetuando una cultura patriarcale, ospedalocentica e farmacocentrica. La violenza si esprime in servizi psicologici e psichiatrici carenti, gerarchici e infantilizzanti, oltre che spesso patriarcali e binari; nella mancanza di accessibilità ai servizi per le persone disabili; nelle discriminazioni e nelle molestie che subiscono donne e persone LGBTQIA+. La violenza è anche l’attacco contro il diritto all’aborto, che fa sì che molte Regioni abbiamo, esplicitamente o meno, rifiutato di attuare le linee guida sull’aborto farmacologico e impedendo la sua somministrazione nei consultori. La violenza sta nella mancanza di finanziamento dei consultori stessi, che sempre più spesso diventano privati, con alti tassi di obiezione di coscienza e con prestazioni sempre più ridotte (ad esempio in molte Regioni non accolgono le persone in menopausa, rimandandole agli ospedali).

RIVENDICAZIONI E CAMPI DI BATTAGLIA:

I servizi che abbiamo a disposizione non corrispondono ai nostri bisogni e ai nostri desideri, non rispondono alla molteplicità delle nostre vite e delle nostre soggettività. Per questo in vista dello sciopero dell’8 marzo non ci limitiamo a difendere l’esistente, ma chiediamo che i soldi del Recovery Fund siano destinati a potenziare la medicina territoriale e a colmare le carenze che abbiamo messo in luce. Sappiamo che questi soldi non bastano e per questo rivendichiamo la necessità di una patrimoniale che permetta di reperire altre risorse. Vogliamo assunzioni stabili e tutela della salute per chi lavora nei servizi socio-sanitari. Vogliamo re-inventare e re-immaginare i consultori attraverso le assemblee e i coordinamenti delle donne e libere soggettività. Vogliamo poter scegliere come abortire, anche in telemedicina. Vogliamo poter scegliere come partorire. Vogliamo poter accedere agli ormoni in maniera autodeterminata. Vogliamo che il diritto alla salute sia pienamente garantito indipendentemente dai documenti, soprattutto nei luoghi di confine. Vogliamo una giustizia riproduttiva anche nei servizi dedicati alla salute mentale. Vogliamo poter invecchiare senza dover ricorrere a istituzioni locali e subire disumanizzazione. Vogliamo che i lavori di cura non siano vittime del ricatto tra santificazione e sfruttamento. Vogliamo una sanità e un welfare che permettano la nostra autodeterminazione e che non creino gerarchie tra chi cura e chi è curata. Vogliamo moltiplicare i luoghi delle donne e delle persone LGBTQIA+ dove costruire benessere collettivo, luoghi troppo spesso sotto attacco, come la Limonaia appena sgomberata a cui mandiamo tutta la nostra forza.

Per questo l’8 marzo vogliamo scioperare insieme alle lavoratrici dei servizi sanitari, costruendo alleanze capaci di mettere in atto gli strumenti di cui abbiamo bisogno per stare bene, a partire dalla complicità! Lo sciopero dell’8 marzo sarà uno sciopero capace, ancora una volta, di mettere in relazione la salute con tutti gli aspetti della nostra vita, dal lavoro all’ecosistema, per ribadire che ci vogliamo vive!

Pratiche (in ordine sparso):

  • Costruire forme di sciopero nelle RSA e nei servizi socio-sanitari insieme alle lavoratrici
  • immaginare Performance collettiva, video, collage, topomastica femminista, utilizzo di spille/bigliettini da utilizzare contro le limitazioni allo sciopero dell’8 marzo.
  • Creare mappatura e mobilitazione sull’adozione delle nuove linee guida sull’aborto farmacologico
  • promuovere attivazione per il potenziamento dei consultori come presidi territoriali per l’autodeterminazione e per la salute delle donne e delle libere soggettività.
  • Attivare campagna contro l’obiezione di coscienza e sugli accordi tra ospedali e gruppi pro-vita per lo smaltimento dei prodotti del concepimento (cimiteri dei feti)
  • La creazione di una “cassetta degli attrezzi” che metta insieme, per essere condivisi e diffusi, tutti gli strumenti e le iniziative già in atto nelle tante mobilitazioni a livello nazionale (inchieste, monitoraggi, accompagnamento, mutuo aiuto, denunce, sanzioni fucsia, vertenze).

REPORT DEL “GRUPPO VIOLENZA DI GENERE, PERCORSI DI FUORIUSCITA E PRATICHE NUDM SUI TERRITORI” DEL 31 GENNAIO 2021

*In copertina uno dei cloud elaborati con le parole chiave del gruppo tematico

ANALISI

Il tavolo è stato fortemente partecipato e ha rappresentato un’occasione concreta di costruzione di spazi più sicuri e attraversabili da tutte/u.

La pandemia è stata un acceleratore della violenza nelle nostre vite, che ancora riconosciamo come strutturale in ogni ambito, luogo, e esperienza. Ci riferiamo alla violenza in un’ottica intersezionale, e elaboriamo strategie di liberazione attraverso l’alleanza fra lotte plurali.

Molti Centri Anti Violenza (CAV) sono stati chiusi durante la pandemia; ancora più urgente si rende il bisogno di finanziamenti a CAV e case rifugio, estendo la capacità di accoglienza anche alle persone LGBTQIA. Ancora ci scontriamo con la retorica sessista, lgbtqia*fobica, e di giustificazione della violenza. Nel rapporto con le forze dell’ordine spesso i problemi sono sminuiti, le denunce non accolte. La L.164 sul cambio anagrafico è inadeguata, non garantisce l’autodeterminazione, ma richiede la diagnosi e la valutazione della persona da parte di un tribunale. Le persone trans, intersex e non binarie vivono le conseguenze violente di procedure normalizzanti e costruite su codici binari.

Le persone trans* in carcere sono inserite con il genere assegnato alla nascita (donne trans* spesso stuprate in sezioni maschili, messe poi in isolamento “per proteggerle”).

Nei casi di femminicidio non deve più esistere la possibilità di rito abbreviato, deve invece esserci un riconoscimento legale del femminicidio e dell’omicidio a sfondo lgbtqia*fobico.

La Pas e la bigenitorialità perfetta esistono già nei Tribunali. Ancora più fortemente ci troviamo a lottare contro la violenza istituzionale sia nei procedimenti per violenza di genere che in quelli per l’affidamento di minore. Spesso per le famiglie omogenitoriali i diritti non sono riconosciuti ad entrambe le figure genitoriali. Sulla Legge Zan occorre implementare dibattito e analisi critica.  Altrettanto, è emerso il bisogno di approfondimento sui CAM, centri per uomini maltrattanti.

Vengono sgomberati spazi transfemministi e la socialità è costantemente sotto attacco.

Il Recovery fund ė insufficiente e manca di un’ottica di genere.

Nella relazione con i centri antiviolenza, molte realtà hanno manifestato la volontà di cercare un confronto ed una collaborazione che porti a pratiche condivise. In alcune zone non si è riuscitə a portare avanti un dialogo con i CAV, ma lo si è fatto con altre reti femministe. Per affrontare al meglio casi di violenza, alcuni nodi vorrebbero fare autoformazione e formazione, non per sostituirsi ai CAV ma per avere un quadro completo su come affrontare politicamente la violenza. È necessario condividere pratiche così da creare un percorso comune che possa esser poi modellato in base al territorio, per capire come agire se una persona vittima di violenza si rivolge a NUDM.

Il tavolo ha lavorato nella direzione di uno sciopero politico, che elabori una sottrazione da tutti gli ambiti della vita in cui la violenza si esprime. Collettivizziamo le nostre voci plurali anche senza le grandi piazze di mobilitazione. La sorellanza è la cornice e lo strumento per ogni nostra lotta.

 RIVENDICAZIONI

  • Pretendiamo risorse e finanziamenti adeguati ai CAV
  • Pretendiamo politiche di sostegno all’abitare e politiche di sostegno economico.
  • In tema di Recovery Fund, riteniamo il piano insufficiente e del tutto carente di un’ottica di genere, che rende quindi illeggibile il cosiddetto “iceberg” della violenza di genere 
  • Vogliamo sportelli sul genere nelle università
  • Vogliamo consultori pubblici e CAV in grado di decodificare e accogliere la domanda di soggettività lgbtqia* e non binarie
  • Da sempre e ancora di più in questo momento di crisi, rivendichiamo strumenti reali come il reddito di autodeterminazione
  • Rivendichiamo la patrimoniale come vera presa di posizione politica, mezzo di equità e redistribuzione
  • Vogliamo il riconoscimento legislativo del femminicidio
  • Vogliamo l’eliminazione della PAS nei Tribunali (revisione L.54/2006)
  • Vogliamo il riconoscimento della doppia genitorialità nelle coppie omogenitoriali
  • Vogliamo il riconoscimento dei diritti dellə sex worker
  • Vogliamo politiche concrete contro la prostituzione forzata

PRATICHE

Le pratiche che vogliamo attuare sono molteplici ma tutte basate sull’idea che si debba costruire un percorso comune e forte prima, dentro e oltre l’otto marzo.

  • Denunciare sistematicamente i luoghi nei quali la violenza si esprime
  • Contrastare la produzione culturale, sociale, legale, medica e scientifica dei corpi delegittimando il fatto che il corpo debba rispondere a canoni esclusivamente binari.
  • Contrastare le narrazioni tossiche.
  • Trovare un luogo nella città dove ritrovarsi per ogni atto di violenza, rivendicando quel luogo come simbolo di resistenza e lotta.
  • In caso di femminicidio sul proprio territorio, cercare di entrare in contatto con ə familarə della vittima. Intraprendere un percorso di conoscenza e di supporto con chi resta. Perché le vite spezzate non rimangano solo nomi ma venga narrata la loro storia e perché chi resta non si senta abbonadonatə in un intricato percorso prima di tutto personale ma anche burocratico e legale.
  • Collaborare con i consultori affinché diventino luoghi formativi e informativi per ogni percorso scelto da ogni persona. Immaginare e costruire percorsi di formazione anche sulle soggettività e perché i consultori diventino luoghi dove le persone trans possano ricevere ormoni.
  • Attuare sforzi culturali per distinguere sex worker e prostituzione forzata, denunciando e combattendo lo stigma nel primo caso e la violenza patriarcale nel secondo
  • Se possibile prevedere un numero di telefono a cui i vari nodi possano essere contattati in caso di urgenze e necessità.
  • Pratiche di mutuo aiuto: garantire accesso ad internet; distribuzione cibo; aiuto nel richiedere casa popolari e buoni spesa; attivazione mense.
  • Partendo dal presupposto che non si è operatrici/tori/* di centri antiviolenza, ma militanti, fare rete con altre realtà che si occupano di fuoriuscita dalla violenza e attuare delle formazioni condivise.
  • Rendere lo spazio pubblico inclusivo per lə disabilə, e per chiunque non possa attraversarlo per i più svariati motivi.
  • Costruire una cassetta degli attrezzi: Archivio di storie che incontriamo; Vademecum (sul sessismo nei movimenti, violenza online ecc); Ricercare figure di professionistə come psicologhə, avvocatə, ecc, nella direzione di un elenco a disposizione di NUDM
  • Chat di quartiere contro le violenze e molestie in strada

Pratiche verso l’Otto marzo

– Trovare un luogo nella città dove ritrovarsi per ogni atto di violenza, rivendicando quel luogo come simbolo di resistenza e lotta.

– Campagna di adesivi dove si esplicitino le forme di violenza; nascondere adesivi o volantini nei prodotti considerati di cura in vendita nei supermercati

– Sciopero dai social il 7 marzo, postando un’immagine che rilanci lo sciopero dell’otto o una nostra foto vestit* di viola.

– Occupare vetrine solidali che rilancino lo sciopero mettendo dei volantini o messaggi

– Rilanciare il canale Telegram del nodo di Torino per un mail bombing alle testate giornalistiche.

– Lanciare l’8 marzo la campagna #sanzionefucsia, una campagna condivisa di sanzionamento di un’impresa, una multinazionale, un sindacato, un progetto, una grande opera, una proposta di legge che abbia una politica sessista e/o violentemente machista.

– Segnalazione e denuncia dei luoghi delle città in cui si esprime la violenza e denuncia di quei soggetti che continuano a nascondere le forme di violenza.

– Proprio l’8 marzo ci sarà l’udienza per Elisa Pomarelli, proponiamo perciò di fare un’iniziativa a livello nazionale (modalità da definire) per gridare forte che l’assassino non è malato ma figlio sano del patriarcato.